Passa ai contenuti principali

Figli

Quando alle quattro del mattino mi affaccio dalla finestra e nel parcheggio la nostra auto non c'è, so che Susi non è ancora rientrata, e allora mi spavento. Lavora in pizzeria, a pochi minuti da casa, ma lo stesso non riesco a domare l'apprensione, che è un cavallo selvaggio a cui ogni notte devo far capire chi comanda. Lì comincia l'insonnia, e assieme all'insonnia l'andirivieni tra le stanze, il rito della tv accesa senza badare a cosa trasmette, e la digitazione sgrammaticata di messaggi a cui non c'è risposta, perché mia figlia sta sistemando il magazzino, o riponendo le tovaglie in foresteria, o sta scherzando coi colleghi e non ha tempo da perdere con me. A qualcuno di quelli, perfino, viene in mente di andare a comprare dei cornetti fumanti e così non le si fa mai giorno. Lo si fa a me, in compenso. Prima è una sottile striscia di luce tra gli occhielli delle serrande e poi un polverio dorato che svirgola per aria e si adagia sul comodino, sui calzoni in tiro, sulla camicia sposata con buona grazia alla stampella. Per strada passano gli ultimi nottambuli e i primi mattinieri: giocatori di poker, gigolò, fornai, manovali che partono col furgone per le Marche, edicolanti. Mi si strizza lo stomaco a pensare a tutte le cose che possono capitarle - e che naturalmente non capitano mai, per fortuna. Ma quello è un momento in cui non ragiono, non riesco a essere lucido. Così comincio a contrattare. Non so bene con chi, la controparte è poco definibile. Diciamo con il padreterno, col destino, con qualche caro estinto. Ecco, prenditi tutte le cose che ho - gli propongo: - i cofanetti di Ellery Queen, il Paperino che m'ha disegnato Mastantuono, la foto con Mario Monicelli. No? Non li vuoi? Aspe', non te ne andare... Il disco di Vecchioni! Montecristo! Lo vado a cercare! C'ho il vinile, vale una fortuna, su eBay lo vendono a peso d'oro. Lo vuoi o no? Te lo regalo, è tuo. La copertina l'ha fatta Andrea Pazienza, e poi è morto di overdose. Dai, prendilo, cazzo! Insomma, imploro. Baratto la vita e le stupide passioni che ho per avere in cambio la grazia di veder spuntare da quella curva la Chevrolet con dentro quella testolina ostinata che ho messo al mondo. Prima che mi venga un infarto, possibilmente. E lì mi rendo conto che le meraviglie cui ho consacrato l'esistenza sono tutte puttanate. A voler essere precisi - e come dice il poeta - un puttanaio di puttanate. Ciò che conta è solo che voi torniate a casa, figli. Fino al prossimo incubo e alla prossima permuta delle suppellettili sopravvissute.

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...