L'attimo che passa tra l'ultima finzione dell'attore e l'inchino al pubblico, tra la fine della commedia e il ritorno alla realtà, è un attimo pericoloso. In quell'intercapedine di tempo può infilarsi il sospetto che non valga la pena smettere i panni di scena e che il mondo sia meno attraente della sua rappresentazione. Lì l'artista resterebbe in bilico, ancora sul palco ma già col desiderio del camerino, della cena notturna e dell'albergo scalcinato e se indugiasse ancora finirebbe per non riconoscersi più, non sarebbe alternativamente vita e commedia ma per sempre un impasto delle due cose insieme, un mostruoso innesto. Ci ho pensato, qualche volta, a quell'attimo di impasse dei teatranti, e l'ho ritrovato, in tutta modestia, nella mia vita vagabonda, che divaga tra le colline della giovinezza - quelle attorno a Narni - e gli infiniti ritorni nei luoghi che ama - Tarquinia e le sue trattorie sulla spiaggia, per esempio - e che inevitabilmente sono tutti smontati, decadenti. Questa cerca instancata è il mio limbo: non sono più quello di una volta, quando tutto era intatto e ogni recita era piena di attori amati, e non sono ancora quello che vorrei essere, e così rischio di rimanerci invischiato, nella indeterminatezza. Che però ha i suoi vantaggi: mi permette di scrivere, perché si scrivono solo le cose indefinite, vaghe, e non c'è nessun gusto a farlo di quelle in piena luce. Il bonus supplementare è che la scrittura non disturba nessuno: se scrivo mi legge solo chi mi cerca - e questa, per la discrezione del narratore, è una gran fortuna. Il chiacchierone al contrario è un invadente che nessuno sopporta. Da che mi sento preso in mezzo tra passato e avvenire e vivo questo presente immobile subisco anch'io l'indugio dell'attore: l'unico sistema che conosco per non restarci invischiato è raccontarne più che posso. Spero, così facendo, che lo stallo si spezzi e di poter traslocare nel futuro una volta per tutte.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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