Ho camminato la città dal basso all'alto - da dove abito adesso fino alla sommità - sperando di incontrare la primavera. Magari camuffata, se le fosse venuto l'estro di andare in avanscoperta un mese prima della reggenza. Di norma, l'inverno s'imburberisce con niente: se l'avesse riconosciuta avrebbe fatto di un gesto innocente un caso, e avrebbero finito per bisticciare. Ho incrociato ragazze che le somigliavano, per come immagino che possa apparir persona, ma non era lei: tenevano gli occhi bassi e andavano di fretta, serie serie. La primavera sorride, invece. Lo sapeva anche Gino, cinquant'anni fa, mentre passavamo sotto la stessa porta medievale, dalle pietre pesanti: io marmocchio, lui nonno senza cerimonie. Sapeva che la primavera a Narni arriva di soppiatto, e se non ci stai attento ti accoltella il cuore: si traveste, è una maschera di carnevale, si confonde nelle feste in piazza, e poi una volta che esci per la strada - al primo pomeriggio - te la trovi tutta intorno, esplosa. E allegra, giuro, tanto allegra che quella allegria è un contagio, una febbre di cose nuove, e cieli rondineschi, maniche corte e gelati da passeggio. Gino prendeva per via Cardoli, a un certo punto, e io oggi invece no: troppi ricordi insieme fanno male, troppa nostalgia fa più danni del colesterolo. Abitava lì a mezza erta, adesso il portone è sempre chiuso e l'intero palazzo disabitato. Pagherei quel che posso, per entrarci. Una volta, non di più, per salire a due a due i gradoni e affacciarmi dal terrazzo panoramico come un papa nuovo dalla finestra dopo il conclave. Invece pare che non si possa e si debba: è triste e vietato. Le cose morte vanno lasciate stare, dicono i più avveduti, e si fanno di contemporaneità. Beati loro, che si perdono tutto quel che è futile, se tutto quel che è futile è in fondo quel che ci tiene in vita.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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