E se a casa non ci tornassi più? Se uscissi dalla radio e cominciassi a girare per la città finché le scarpe non prendono fuoco e le gambe m'implorano Siediti? Quante mattine son tentato di farlo! Ma poi, niente: compro il pane, un etto di bresaola, un limone da strizzarci sopra e rientro nei ranghi. Andare via, far perdere le mie tracce, è una tentazione ancora spuntata, e invece avrebbe bisogno di un temperamatite d'acciaio. Vabbè. Però girellare per il centro, cogli occhi delle botteghe uno aperto e uno no come tante facce con l'orzaiolo, e poi tagliare il decumano fino a raggiungere la periferia, il passaggio a livello, il deposito dei treni merci, mi allontana dal ritorno e mi avvicina alle nostalgie. Qui in gioventù ne ho seminate e avrei giurato che qualche piantina ne spuntasse, e invece a parte le erbacce di rotaia non c'è niente. Più avanti, addosso al cavalcavia, il marciapiede s'inarca, fa una groppa. Lassù in cima han sistemato due panchine di ferro, lontano dai lampioni. Qui venivamo a baciarci e a toccarci, e a guardare i pendolari tristi incorniciati nei finestrini. E qui finalmente ne trovo, di nostalgie, trovo il freddo di certe sere e la fretta di concludere, ché mi aspettavano a casa. Vado via anche da lì, vado altrove, ricalco altri passi, come per verificare. Verificare che con altri amori, in altre stagioni, succeda lo stesso. L'edicola dalla saracinesca imbrattata, il podologo, la pasticceria stretta e lunga, il negozietto di calze e pigiami, la rosticceria appartenuta a tre o quattro proprietari differenti: tutto torna ma è tutto muto. Niente scampanellio, niente stretta alla pancia, come fosse la prima volta che ci metto piede. E così più in là e più in qua, nel perimetro sbilenco dei passaggi della passione, che era furente e adesso dorme. Non c'è niente da fare: se i posti non parlano, gli amori con cui li hai frequentati valgono poco. Non è una gran trovata ma è l'unica unità di misura che conosco per distinguere l'oro dalla pirite.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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