Ecco che arriva aprile, lo riconosco dai singhiozzi di febbraio, che vorrebbe trattenere il freddo mentre il sole dilaga e ci fa spogliare, e attorcigliare ai gomiti le maniche delle camicie. Ecco l'inverno che piange, perché pochi lo amano e pur chi l'ama dopo un po' lo tradisce con una tentazione d'agosto. E alla fine ecco io, che in questa città chiusa da troppe colline m'ingolosisco di mare, perché una passeggiata sulla sabbia fredda, una cena in un ristorante con le lanterne di carta appese al soffitto, sono un gesto e una tenerezza cui non so rinunciare. Lasciate che ve ne parli. Appena tutto diventa scuro - nel tempo che ci mette il cameriere a servirmi i tagliolini al salmone - le onde fino ad allora mute fanno quel mugugnìo d'abisso che atterrisce. A patto di essere solo, che se un'amica mi ha accompagnato la paura sfiora e va, non siede a tavola con noi, capisce che è di troppo e prende la strada sua. Lì comincia il corteggiamento, una serie di parole e gesti galanti che raccontano la differenza tra i gentiluomini - al cui club spero di appartenere - e i trogloditi. Non amo mai sul serio, quando sono al mare, o meglio: sì, ma riservo l'amore alle agenzie immobiliari, dove cerco bungalow a buon mercato, alle bancarelle di libri usati e ai palloni di plastica fuori dei giocattolai. Il sentimento che avanza è la sceneggiatura di una commedia sofisticata: recitiamo una parte - io e la donna che è con me, - battibecchiamo per finta, e se prima di cena abbiam fatto l'amore camminiamo sazi nella ztl, in cerca di una bigiotteria. Altrimenti ci chiudiamo in camera e attacchiamo fuori Non disturbare, con buona pace degli astinenti. Questo non è tutto, ma è quanto basta per combattere l'intorpidimento dell'anima, che non è solo una conseguenza della pandemia ma una calamità connaturata in certi di noi. Che non flirtano, non viaggiano, non studiano, quando quelle tre azioni sono ciò che ci dimostra intelligenti, ci riempie di senso il tempo e ci fa sentire la pesantezza delle stagioni come fosse una piuma che ci si posa sul cuore. E così sia.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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