C'è una luce naturale in certe case affacciate sul mare della California che dev'essere la luce del paradiso. Non ne conosco una più commovente, più ospitale, eppure non l'ho mai veduta dal vivo ma solo per la mediazione benedetta del cinema, maledetto lui. Allora blocco certi fotogrammi col fermo immagine e me li rimiro estasiato, e tento di capire come posso produrre lo stesso effetto con le parole, così da poter lasciare di stucco i miei quarantasette devoti lettori. Sembra facile. Perché quella luce, vedete, rimbalza dal cielo alla spiaggia, dalla spiaggia ai vetri, e da lì agli stereo anni Ottanta e ai tinelli, alle poltrone di vimini e ai giardini cintati, e tinge, e dilaga, e tutto assume un colore perfetto, crepuscolare. Partiamo allora, amor mio, partiamo: non vedi che siamo partiti già? Ecco dunque come vorrei fosse il mio presente: eterno e paradossale. Vivrei ripetendo tutti i santi giorni gli stessi gesti - fare il bagno nell'oceano, suonare il pianoforte - e la sera verrebbero a trovarmi amici pederasti, starlette e produttori di Hollywood, e faremmo un gran casino fino all'alba, una festa smisurata. Altro che qui, dove vivo rimpiangendo il passato e arrampicandomi sul futuro come fosse la salita ammazzamotori (se non sapete cosa sia leggete Don Rosa e fatevi una cultura). Dovrei avere più cura del presente, più stima, questo voglio dire: è l'unico tempo certo tra uno disperso e uno indecifrabile, quindi tra due inganni. Riuscissi a stiracchiare il presente come le ossa quando mi sveglio, senza che faccia cric croc, sarebbe una svolta, la quadratura del cerchio. Invece ancora sto in bilico tra rimpianto e speranza, e non so quale dei due assassini sia più spietato, più assetato di sangue. Maledizione, com'è difficile apprezzare ciò che ho e convincermi che ciò che ho perso o non ho ancora non sia per forza migliore. Com'è difficile non aver bisogno di altro che dell'oggi, non preoccuparsi che della cena di stasera, da organizzare in veranda, adesso che viene aprile. Che poi giusto oggi - sia lodato il presente - ho comprato una tovaglia bellissima. E non vorrei usarla chissà quando e chissà se.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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