Chissà se agli occhi eterni di dio il nostro tempo inciampato ha una qualche bellezza, e lo intenerisce, oppure se ogni volta che la paura ci storpia se ne sta lì impietrito come i capoccioni dell'isola di Pasqua, impermeabile a qualunque pietà. E chissà se tutte le ore spaventate - migliaia - a depositarle in una banca del paradiso varrebbero qualcosa più dei miserevoli interessi che ci danno le banche terrestri, avvoltoie e grame. Ne ho un sacco e una sporta, nella cassetta di sicurezza del cervello, di quelle ore smunte, e vorrei farle fruttare perché un qualche risarcimento me lo devono. Sono le ore in cui ho aspettato il responso di una risonanza, e ho tremato, non riconoscendo più la mia faccia allo specchio, e gli alberi fuori delle finestre avevano fauci spalancate. Le ore notturne in cui mia figlia non tornava in orario, in cui nessun amore dei tanti rispondeva Presente; le ore diurne in cui non ho capito il prossimo, che era ostile e cattivo - e quando lo sono stato io saranno stati gli altri ad avvilirsi, a chiedersi perché fossi così maligno. Le ore delle centomila attese del nulla, che nulla arrivava, epperò aspettavo qualcosa, foss'anche stato solo uno spuntino di compassione, giusto per fermarsi lo stomaco. Per esempio. Quand'ero ragazzo e giravo in macchina con mio padre mettevo le canzoni che mi parevano più miracolose, e lui se le commentava le commentava per deriderle. C'è anche quel supplizio dentro la cassaforte, sono ore pavide, a decine, che non hanno mai trovato il coraggio di ispirarmi una voce, un sussulto, che gli facesse capire quanto ci tenessi. E ci sono le ore della delusione, del rimpianto, del rammarico, di tutti i fallimenti visibili e invisibili, che i successi ( che pur ci son stati) non restano, suonano fatui, scappano via, e i disastri invece sono stanziali. Insomma ci vorrebbe un sistema per volgere a nostro favore la malasorte. Se dio è l'affarista che dicono, non può non averci pensato. Nel caso, un bel piano di investimento da qui all'eternità me lo merito senza discussione, e alle condizioni più vantaggiose.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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