Secoli fa, all'alba degli anni Ottanta, il padre di un mio amico faceva il presepio in modo affatto originale. Si definiva comunista, e lo era, a osservarlo con attenzione: rigoroso e sobrio, spesso indignato per le porcherie del mondo, viveva solidale prima che diventasse un atteggiamento di cui vantarsi. Sotto al muschio metteva pagine dell'Unità e di Paese Sera, Per non sporcare il piano, diceva, ma in realtà lo sentimmo confessare a un vicino di casa che sperava che a quel modo Gesù bambino assorbisse un po' di sano egualitarismo. La moglie sbottava, a sentirlo parlare così: Ma come? Vuoi insegnare a dio il suo mestiere? e lui si inorgogliva, cacciava un urlo comico e con la voce baritonale giurava che sì, che tocca agli uomini indicare la strada ai santi, di tanto in tanto. Dentro la mangiatoia ficcava un piccolo monile a forma di stella con incisi la falce e il martello, staccato da una medaglietta che portava al collo. Era grosso quanto un bottone e a molti - parenti e amici che arrivavano per giocare a tombola - sfuggiva quell'anacronismo conficcato nella più grande storia mai raccontata. Così lui glielo indicava, lo tirava fuori dalla paglia finta e lo mostrava intorno tutto contento. Poi lo rimetteva al suo posto, perché fungesse da bussola, nella speranza che il mondo cambiasse rotta, una buona volta. In mano a un pastore, con accanto le sue due pecorelle brucanti, metteva il brandello di un fazzoletto con ricamato un ritrattino di Gramsci. Nella giberna appesa alla gobba di un dromedario sistemava una copia in miniatura del Capitale, che chissà dove diavolo mai si era procurato. E insomma disseminava la piana di Betlemme di simboli che secondo lui erano in tono, che rafforzavano anzi il significato di quella rappresentazione. Che fosse credente non potrei giurarci: era ondivago, forse credeva a giorni alterni, e lo sentimmo, io e suo figlio, una volta che le cose con suo fratello non andavano per il verso giusto, minacciare dio di togliergli la fiducia come fanno quelli dell'opposizione con quelli del governo. Era in minoranza, indiscutibilmente, era su posizioni intransigenti e dall'etica non negoziabile. Però a suo modo era un cristiano, perché era un ragazzo senza vanterie, senza una faccia differente dal cuore, e queste a quanto so sono virtù degli uomini di buona volontà. Quando se ne andò non aveva neanche quarant'anni, successe dalle parti di Viterbo, viaggiava per lavoro, si addormentò, finì addosso a un traliccio dell'alta tensione, morì fulminato, più che per lo schianto. Mi è tornata in mente come una canzone, la sua sorte, in questo strano Natale che arriva alla fine di questo tempo terribile. Dopo anni di dimenticanza, è venuto a farmi visita, tra le curve della memoria. E così ho raccontato la sua avventura, contando sul fatto che suggerisca a tutti noi un poco di coerenza in più da spendere alla bisogna.
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