Tutto quello che scrivono gli altri non lo so ma tutto quello che scrivo io è difettoso. Per quanto tenti di trattenerle, le idee si cancellano da sole, le emozioni a raccontarle diventano ordinarie, le scese di cuore balbettii. A poco servono la disciplina, la pratica quotidiana, l'ostinazione a setacciar parole per far cadere sulla spianatoia le più nobili: alla prova dei fatti il risultato è deludente. Molto poco di quello che vibra tra le ossa, i nervi e l'anima finisce per avere una narrazione degna: è tutto sbiadito, tutto le somiglia, alla realtà - ma soltanto grosso modo, come due fratelli che non diresti che lo sono - e niente la tocca. Così l'imitazione di uno scrittore - quella parte che ho recitato fino a ingannarmi, a dimenticare che è una pantomima e a credere di essere colui che interpretavo - diventa l'arte del pressappoco, del bersaglio mancato, della cilecca. Fanno finta le cose di essere come le racconto: sono molto più grandi, molto più strazianti. E fanno finta i miei quarantasette lettori di essere stupiti dalla mia abilità: han letto e leggeranno molto di meglio, è solo un complimento, un voto dato con manica larga. Me ne accorgo, cosa credete? Certo che me ne accorgo. Lo so. Lo so che il mondo è spaventosamente inafferabile per il mio povero alfabeto. Lo so che viaggiando per certi sentieri tra i boschi, passando davanti a certe case d'infanzia, abbandonate, chiuse, non sarò mai capace di spiegare che una parte miserabile di quel che mi si tuffa dentro. Fa un balzo come da un trampolino, si avvita, ed entra in acqua tra lo stupore dei giudici di vasca. Perché non smetti, allora? chiedo ogni tanto alla faccia nello specchio. Lo scarto tra la magnificenza che c'è e le tue costruzioncine lessicali è incurabile, come un malanno serio. Evito la risposta, volto le spalle e via. Gli aspiranti scrittori dovrebbero saperla, questa cosa: non si racconta l'irraccontabile. Si vive, si respira, si guarda, si contempla. Ma non si legge né tantomeno si scrive. Tutti coloro che giurano che è possibile sono dei mentitori. L'arte non fa la realtà, è vero anzi il contrario. Per cui scegliete di uscire di casa, di amare per la strada, non sulle pagine, scegliete di rischiare e di cambiare vita se quella che avete non vi piace. Avrete tempo quando sarete vecchi, di stare in casa a inseguire i deliri di un sognatore.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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