Indifferente al Covid, battagliera, una ragazza sui cinquanta attraversava via Massarucci, stamattina, poco dopo le undici. Le caviglie allenate, le natiche sode, vestiva una camicia a colori che scintillava al sole. Non teneva gli occhi bassi, come gli sconfitti, ma al contrario dritti e fieri davanti a sé a fare scempio di ogni timidezza. Dal braccio sinistro, all'altezza del gomito, le partiva un filo di plastica e saliva in alto, sopra la testa. All'altro capo c'erano attaccati quattro o cinque palloncini di elio, due rossi, due blu e uno bianco, uguali a quelli dei giostrai. Non so dove andasse, a chi li portasse, o se qualcuno - un venditore pakistano - le avesse chiesto di reggerli mentre correva a comprar da mangiare. Quel che conta è che regalava un'idea di leggerezza, un vento di libertà, a tutti quelli che la guardavano, i quali - nessuno escluso, ci scommetto - provavano invidia. Fuori di un minimarket la fila dei pensionati coi numerini, le maschere e i guanti si è sciolta al suo passaggio in un fragore di festa, tutti han preso a chiacchierare con tutti, e un attimo prima eran muti, e torvi, e l'attesa è diventata un gioco, da triste che era. L'ho seguita fin che ho potuto per carpirle anch'io, per quanta ne meriti e non un grammo di più, una porzione di quella incoscienza. È la stessa che tento di regalare a mia figlia quando certi giorni le sono più ostili di altri e tutto è fermo, inconcluso. Le mostro quel poco che son capace di fare quando si tratta di combattere la bestia che si issa sulle nostre schiene, e le opprime. Ridimensionare, frammentare, perfino ridicolizzare, sono le azioni con cui mi difendo dal tedio e dai suoi fratelli feroci: il sospetto che tutti sia privo di senso e la paura che nessuno dei progetti che faccio vada a buon fine. Ragiono una cosa alla volta, allora - così le insegno - affronto un problema solo a stomaco pieno e non mi spaventa più la mole dei contrattempi che cospirano assieme: se lo dividi, il nemico batte in ritirata. E la fatica di campare può diventare perfino divertente, quando sai di esser più forte e cattivo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post