Tutti quelli che amano, tutti quelli che resistono, tutti quelli che detestano i talk show, tutti quelli che schivano le scorciatoie, tutti quelli con la schiena dritta: per cominciare bastano loro. Tutti assieme dovrebbero fondare un club, e anch'io - al contrario di Groucho Marx - vorrei farne parte. Perché spero d'avere almeno una volta amato, in tre o quattro frangenti resistito, e che la repulsione dei talk show mi accompagni per gran tempo ancora. Quanto alle scorciatoie, giuro che per decenza le ho evitate, pur quando m'han detto che convenivano, che facevo prima. Ma a me piace il viaggio se va per le lunghe, la divaganza, e allora così ho scelto. Mal te ne incoglierà - mi pronosticò una volta una tipa pratica della vita. Faceva la talent scout di imbroglioni - come se in giro non ce ne fossero già troppi ne allevava in quantità, tipo le trote nei vivai - e a sentir lei avrei dovuto genuflettermi a un tal assessore per un impiego da portaborse. Via, me ne scappai dal suo ufficio e rimasi a spasso. Ma senza scoliosi. La stessa dignità io credo abiti l'uomo sui sessanta che da qualche settimana incontro per le vie del centro. Gira in bici come una trottola, e sul manubrio regge un secchio di plastica, e dentro al secchio pannole e detersivi. Lava le vetrine dei negozi. Prima chiede il permesso, con l'accento slavo che sa di Ungheria, di steppa e di fatica gigante per attraversarla. Lo conoscono tutti e lo lasciano fare, lo ripagano di monete che gli sfondano le saccocce e lui - probabilmente felice - lo rifà a un paio di isolati, quel lavoro inventato. Il bello è che sorride e fischietta, fischietta e sorride, e quando fischia certe canzoni che non conosco, c'è il caso magiare, mi prende la voglia di corrergli dietro per sentirla tutta, quell'aria del Danubio. E a parte questo, guarda che differenti che siamo: c'è chi usa i cestini delle bici altrui, parcheggiate, per svuotarsi le tasche di fazzoletti sporchi e gratta e vinci sfigati. E chi riempie il proprio dei ferri di un mestiere onesto e esentasse - il che non è un paradosso manco per niente, scommetto. Così è la felicità: amica dei mansueti. E nemica giurata degli arrivisti e degli arroganti. Che infatti non ho mai visto sorridere e intonare canzoni su una strada fiorita, in bicicletta, per la leggerezza della primavera in arrivo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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