Nello spazio tra pioggia e non pioggia, a Narni, ieri che son salito a raccontare la mia vita recente a chi ne conosce solo due giorni su venti e sta sulle spine se ogni tanto non lo metto a parte, mi ha preso un desiderio: sbrogliare una volta per tutte il mistero delle cose belle che non mi piacciono. La tempesta smetteva in quel momento, e però le nubi erano panni strizzati dalla fantesca di dio sulle nostre teste: cadevano - rade, facendo ploc sulle giacche e le corti illucchettate - gocce grosse come chicchi d'uva. Ho aggiornato a Pietro il resoconto delle mie scapicollaggini, gli ho regolato la sintonia della radio - perché sennò quando gli va non può sentirmi - e leggero di gesti non più taciuti ho arrampicato via del Campanile, e ho svicolato davanti sant'Alò, dove da ragazzini prendevamo il catechismo e dai giornaletti - in attesa del prete - le foto della Fenech, e poi le attaccavamo sull'anta del confessionale. Così: per sfregio innocente. A teatro c'era Karima, una cosa pomeridiana: la sua voce obiettivamente grandiosa ha cantato certi standard di Bacharach che han mandato in visibilio tutta la gente là accorsa; tutti a un certo punto han preso a ballare e a saltare, e io nel mio palchetto laterale, da dove si scorge uno spicchio di palcoscenico e devi fidarti, se ti dicono che l'artista è lì e non è una roba registrata, non capivo il senso di tanto entusiasmo. E mi son rammaricato, di essere tanto ottuso - devo pur esserlo se tutti tranne me trovano magnifico uno spettacolo del genere. Fuori, alla fine del concerto, la città era illuminata e fresca, del tutto spiovuta, e mi ha fatto venir fame, guardarla. Narni fa di questi scherzi: se sei inappetente ti cambia il metabolismo. Così in trattoria abbiam bevuto e in attesa del tagliere ragionato sulla mia stoltezza. Il punto è questo: può non piacermi una cosa indiscutibilmente di qualità? Può non aggrovigliarmi le viscere, come invece certe altre bellezze? Non crediate sia un problema di poco conto. Perché a me non piace la musica se non è cantata e se è cantata che sia in italiano - okay, ci sono delle eccezioni che un giorno dirò. E, per dire, non mi piacciono i film di Kubrick, e le bottiglie di Morandi. E cento altre cose eccelse. Cioè: lo vedo, lo so che sono roba importante, seria. Arte, diciamo. Ma non mi arrivano. C'è come un diaframma tra me e loro, una barriera invisibile. Sono sbagliato io, sono manchevole, probabilmente. Ma è stato utile parlarne, con chi era con me. Ho concluso che non c'è da vergognarsi: non tutti i giorni, almeno. A certi amici non piace Billy Wilder, certi altri non sanno nemmeno chi fosse. E quando sono andato a chiedere gli album di Castelnuovo, la padrona del negozio di dischi non ricordava neanche una canzone. Pari e patta, insomma. E così già al dopocena ero rassicurato: c'è troppa meraviglia in circolazione perché un'anima sola la possa comprendere tutta.
Nello spazio tra pioggia e non pioggia, a Narni, ieri che son salito a raccontare la mia vita recente a chi ne conosce solo due giorni su venti e sta sulle spine se ogni tanto non lo metto a parte, mi ha preso un desiderio: sbrogliare una volta per tutte il mistero delle cose belle che non mi piacciono. La tempesta smetteva in quel momento, e però le nubi erano panni strizzati dalla fantesca di dio sulle nostre teste: cadevano - rade, facendo ploc sulle giacche e le corti illucchettate - gocce grosse come chicchi d'uva. Ho aggiornato a Pietro il resoconto delle mie scapicollaggini, gli ho regolato la sintonia della radio - perché sennò quando gli va non può sentirmi - e leggero di gesti non più taciuti ho arrampicato via del Campanile, e ho svicolato davanti sant'Alò, dove da ragazzini prendevamo il catechismo e dai giornaletti - in attesa del prete - le foto della Fenech, e poi le attaccavamo sull'anta del confessionale. Così: per sfregio innocente. A teatro c'era Karima, una cosa pomeridiana: la sua voce obiettivamente grandiosa ha cantato certi standard di Bacharach che han mandato in visibilio tutta la gente là accorsa; tutti a un certo punto han preso a ballare e a saltare, e io nel mio palchetto laterale, da dove si scorge uno spicchio di palcoscenico e devi fidarti, se ti dicono che l'artista è lì e non è una roba registrata, non capivo il senso di tanto entusiasmo. E mi son rammaricato, di essere tanto ottuso - devo pur esserlo se tutti tranne me trovano magnifico uno spettacolo del genere. Fuori, alla fine del concerto, la città era illuminata e fresca, del tutto spiovuta, e mi ha fatto venir fame, guardarla. Narni fa di questi scherzi: se sei inappetente ti cambia il metabolismo. Così in trattoria abbiam bevuto e in attesa del tagliere ragionato sulla mia stoltezza. Il punto è questo: può non piacermi una cosa indiscutibilmente di qualità? Può non aggrovigliarmi le viscere, come invece certe altre bellezze? Non crediate sia un problema di poco conto. Perché a me non piace la musica se non è cantata e se è cantata che sia in italiano - okay, ci sono delle eccezioni che un giorno dirò. E, per dire, non mi piacciono i film di Kubrick, e le bottiglie di Morandi. E cento altre cose eccelse. Cioè: lo vedo, lo so che sono roba importante, seria. Arte, diciamo. Ma non mi arrivano. C'è come un diaframma tra me e loro, una barriera invisibile. Sono sbagliato io, sono manchevole, probabilmente. Ma è stato utile parlarne, con chi era con me. Ho concluso che non c'è da vergognarsi: non tutti i giorni, almeno. A certi amici non piace Billy Wilder, certi altri non sanno nemmeno chi fosse. E quando sono andato a chiedere gli album di Castelnuovo, la padrona del negozio di dischi non ricordava neanche una canzone. Pari e patta, insomma. E così già al dopocena ero rassicurato: c'è troppa meraviglia in circolazione perché un'anima sola la possa comprendere tutta.
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