Stamattina pensavo, mentre ho lavato i capelli alla fontana dell'orto, perché il boiler sta lì e l'acqua calda arriva prima: sarebbe enorme se vincessi due milioni di euro alla lotteria, o li trovassi per terra e appartenessero a un trafficante di armi - così che impadronirmene sarebbe giustizia. Cento chilometri dopo, a Tarquinia, per la semestrale capatina etrusca, col sedere in proma sulla terrazza di Cardarelli, mi è perfino venuto d'immaginare come comincerei a spenderlo, quel monte di quattrini. Prima di raccontarlo, però, vi devo svelare cos'è la città d'ottobre, sennò la pazzia è incomprensibile. Allora: lassù, sull'acropoli, è preda di quello scirocco che leviga la Tuscia in autunno, tanto che - se vi affacciate dal balcone che dico - i campi hanno la zazzera perfetta, come un soldato appena uscito da una barbieria. Assieme alle idee bislacche, all'una quel vento portava odori di donne leggiadre, affamate, e già sulla porta dei ristoranti, a far fretta ai mariti, vestite di domenica. Ora, tra una spizzicheria e un ristoro, nei paraggi di tanta golosità, c'è una bottega di dolciumi dove una piccola parte di quella fortuna ce la investirei volentieri. Parlo di quei vasi giganti di vetro - sette o otto ne ho visti - ricolmi di confetti al mirtillo, praline alla gianduia, bon bon gelatinose, che stanno a 3 euro l'etto, sia detto senza rinfaccio. Li indicherei col dito al caramelliere - Quello, quello e quell'altro, e quello in alto ancora - lui penserebbe che ne voglio un cartoccio e solo a quel punto gli direi No, tutto il bigoncio, anzi tutti e otto, e sbiancherebbe, credendo che mi stia divertendo alle sue spalle. Dovrei perciò rassicurarlo, che li prendo: Solo se mi aiuta a caricarli in macchina, però, e a cose fatte striscerei il bancomat. In casa avrei predisposto mensole rinforzate, e starebbero là, quei vasi, per l'invidia di chi arriva, sosta e riparte, e non possiede quella ricchezza che allegra. Così non dovrei ogni volta pensare che finiscano, certe delizie, se ne mangio troppe, perché il pensiero di una scorta illimitata aiuta a sopportare i guai. E i desideri di dolcezza non sarebbero più vani; al contrario: esauditi prima ancora di immaginarli.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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