Ho conosciuto Mario Castelnuovo nel 1981 ma ci ho parlato per la prima volta solo tre giorni fa, al telefono. Nel mezzo, 38 anni in cui ho vissuto sapendo che da qualche parte c'era, e scriveva cose strane e attraenti, e differenti, e che lui non sapeva nulla di me, com'è naturale. Un artista riesce raramente a dare un volto alle persone che lo seguono, e se pur capita è per il tempo di un autografo, per le due ore di un concerto, e poche altre circostanze. Perciò ho vissuto conoscendo di lui alcune cose private non proprio trascurabili - quelle che ho intuito nelle sue canzoni, dai romanzi, dai libri che han raccontato la sua poetica - e lui nulla di me, il che genera uno squilibrio tra le parti. Che è a sua volta una delle controindicazioni della notorietà: svelarsi così intimamente a degli sconosciuti. Questo fanno i narratori, però, e sanno che non c'è alternativa: o quello o il silenzio. E dunque, davvero, ho attraversato le stagioni tenendo a mente le sue canzoni, e spesso ricordandole a conforto dei guai e a festeggiamento delle felicità. Quando mi sono laureato, l'ultimo giorno di militare, il primo giorno di scuola dall'altra parte della cattedra, quando mi sono sposato, quando è nata mia figlia, quando è morta mia moglie, quando ho incontrato l'amore definitivo della mia vita: in tutte queste avventure, in una pausa del dolore, della gioia, dell'ansia, del divertimento, c'era conficcato un brano suo, tre minuti e mezzo di sollievo, consolazione, bellezza. E ogni volta - nell'andirivieni tra ospedale e speranza, in mezzo al bosco a cogliere il muschio per il presepio, in una casa vuota e buia a mezzanotte - le sue parole e quei giri di chitarra, quelle melodie in cui tutte le note stanno dove devono stare e se provi a spostarne una sola crolla tutto, tanto è armonioso quel tutto, mi hanno fatto sentire ancora vivo. Vivo e grato, a lui e a quelli come lui. Ora c'è il nuovo album, che poi sono due, e un libro di racconti, disegni, aforismi, fotografie. Si chiama Guardalalunanina. Se volete sapere che ne penso, ecco: è quel che ci voleva, oggi. L'opera necessaria. Per me e spero per un sacco di altra gente che resiste. A cosa? Fate voi. Basta guardarsi attorno. Ne parlerò con Mario, di questo accidente benefico, del fatto che le canzoni che ci stanno dentro son mondiali e di un paio che non ci sono e che io avrei messo. Così sentirò che ne pensa. Vi aspettiamo, lui e io, giovedì 14 novembre a Terni, alla Accademia Rousseau, alle quattro e mezza del pomeriggio. Come le rondini. Poi non dite che non lo sapevate.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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