Ho dato la caccia a un coleottero, ieri mattina, nella stanza di Itieli destinata ai libri; aveva zampe lunghe e dorso peloso, somigliava a una mia lontana parente, innominabile. Alla fine si è arrampicato con dispetto sulla costa di certi romanzi di cui ho letto nove, dieci pagine, e poi ho lasciato al tempo e alla muffa, e all'appetenza degli ospiti che arrivano in collina senza letture appresso. Con la mano indispettita e il panno mangia polvere l'ho scacciato, e quello è volato oltre la finestra, indovinando la traiettoria millimetrica tra lo spigolo del muro e il battente socchiuso, e poi è impazzito di felicità nel cielo. Nel trambusto, quei romanzi per lettrici astinenti son caduti a faccia avanti, rivelando una fila di altri dorsi, dietro, di cui non avevo memoria, ingialliti e stretti. Chissà chi sistemò questo plotoncino di boiate davanti a Elsa Morante e a Silone; e soprattutto: chissà chi le comprò, chi le ricevette in regalo e da chi. Sono abbastanza certo che per un reato del genere non ci sia prescrizione, ma faceva troppo caldo, credetemi, per indagare. Sono stato invece grato a quell'insettaccio per avermi fatto ricordare di averceli, quei libri. Così li ho estratti dalla schiera, carezzati con le nocche, annusati, e sapevano di vecchio e di memoria, e a toccarli sembrava di toccare la superficie della Luna, tanto misteriosa. Devo averli letti a vent'anni. Certo L'isola di Arturo appena al primo anno di università, per spezzare la monotonia delle invasioni barbariche; e L'avventura di un povero cristiano per entrarci dentro meglio, invece, nel medioevo. Poi son finiti quassù, forse al primo dei mille traslochi, e quassù son rimasti - dimenticati e tristi. Dobbiamo aver detto Li prenderemo, la prossima volta che saliamo, e ogni volta che siam saliti si vede che non era destino, saperli là divenne un'abitudine, e non abbiamo più avuto il cuore di fargli cambiar casa, tanto ci sembrava si fossero ambientati. Negli spazi bianchi sotto il titolo ho scritto il mio nome e la data di acquisto, e il posto, tipo in questo modo: Francesco, 16 ottobre 1986, Alterocca. I segnalibro sono vecchie cartelle del lotto, coi numeri scritti a mano, scontrini di pizzeria, biglietti di un parcheggio alle grotte di Frasassi. Dentro Lessico familiare, a pagina 52, ho trovato, piegato in quattro, il manifestino di un concerto di Ron a cui non sono andato. C'erano una donna, un tentativo di seduzione, e un probabile tradimento alla fine. Rinunciai a tutti e tre non per eroismo, ma perché il pentimento sarebbe stato più persistente del gusto.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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