Gli stessi cortili, le stesse altane, gli stessi chiostri, hanno luci diverse a seconda delle stagioni, e così, se nella memoria girassi dei film, sarebbero color seppia se fosse novembre, o rosa porpora a primavera, o arancio in mezzo all'agosto, e direbbero che sono un regista sperimentale, sui giornali di cinema. Per buona sorte, invece, la mia troupe sono solamente io, il che mi dà modo di risparmiare un sacco di denaro e usare tutte le tinte che voglio, tanto le scrivo e basta e poi voi le immaginate. Privilegio del narratore è fare l'artista con la fantasia degli altri, insomma, paravento che non è altro. Oggi presempio ho scoperto che giovedì che viene saran quindici anni che è morto Marco Pantani, per cui prendo la macchina da presa, noleggio il teatro di posa, faccio il casting, scrivo la sceneggiatura - in quale ordine, tutto questo, non lo so - e comincio a girare. All'antica, con la pellicola, niente digitale: viene meglio, è tutto più croccante. Allora: ci vuole qualcuno che interpreti me a 37 anni, una ragazza di 36 che faccia Alessandra, una bambina di 3 che somigli alla Susi di allora. Trovati: erano nella mia testa, neanche troppo nascosti. E una mansarda come quella di Campomicciolo, dove vivemmo una stagione all'inferno - costava un botto d'affitto, e una mattina spaccai in due il bidet facendoci cader sopra il flacone della schiuma da barba, - e sarà di nuovo san Valentino, e ci faremo gli auguri, un piccolo regalo - io un fiore, Ale un numero speciale di Zagor - e poi Susanna accenderà la tv. Eccola lì, la faccia del pirata. E la sua bicicletta, poggiata al muro, improvvisamente inutile. Se mi danno il permesso di usare materiale d'archivio bene, altrimenti: controfigura. E insomma staranno dicendo che se n'è andato: un'edizione speciale del tiggì. Perfino io, che non sono mai stato matto di ciclismo, mi verrà da piangere. Lo dico così: sgrammaticato, perché la cosa sarà talmente storta, l'ingiustizia urlata così un boato, che non posso scriverlo di garbo. E riaggallano altre sorti, come le rane di Aristofane allo stagno: Mimì, Walter Chiari. Marylin, buon cielo, Marylin. Geni dimenticati, offesi. Da una platea che non li meritava, aggiungerei - se non temessi di essere retorico. Rimarremo lì impietriti. Hai visto? Anche lui in un motel. E a te che piacerebbe tanto andarci a vivere, scervellato che non sei altro. Non me lo ricordo se dicesti così ma te lo farò dire, e se il mio spirito nomade ne risentirà: pace. Resta il colore, per tornare al principio, e prima di finire. Rabbia, color rabbia. La rabbia è una cosa torbida, densa: senape, o maionese. Quel tono lì. Contro dio, perché qualcosa deve pur entrarci, in certi scempi. E alla lingua lo stesso sapore acido che non sai se ti disgusta o appetisce, e a seconda di come scegli, ti conforti o ti fai orrore.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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