Credo nel caso, che paradossalmente, con la scusa di rammentarmi le priorità, mette ordine nei miei intrighi - e non di rado mostra la soluzione a un'impasse narrativa - facendo in modo che quel per cui non ho passione si risolva in fretta: immagino che più di questo non si possa pretendere, dalla storia d'amore tra uno scettico e la provvidenza. Esplorazione di tutto quel che è accidentale, allora, e gratitudine per gli imprevisti: son queste le devozioni primarie del narratore: come religione del fortuito non è peggiore di altre, a ben guardare. Appunto il caso, oggi - da una finestra al pianterreno, in una via del centro - mi ha risuonato nelle orecchie Toquinho, e la sua canzone più naif. Doveva essere un nastro: nessuna radio a parte la mia programma più musica così colma di grazia. Ho dissuaso la fretta, schiacciato il tasto dei ricordi e mi sono ritrovato bell'e ragazzo su una corriera: maggio '83, Pietro ed io ed altri carbonari in autostrada verso Ravenna. Un viaggio politico che mi fece sentir fiero per la prima volta di un'appartenenza: il partito repubblicano, un'alternativa etica allo scempio della greppia che era - ed è ancora, mi sa - questo paese, le foto con Giorgio La Malfa e le carte coi vecchi della sezione di Narni - lui che bussa a bastoni: - ottantenni col fazzoletto partigiano e le lacrime agli occhi. A sedici anni sei puro, anche se ti ammazzi di seghe, sei integro. E sembrava che quelle persone lì, con l'edera nella bandiera, avessero la schiena dritta anche loro, e quel che dicevano fosse coerente con quel che facevano. E comunque, Acquarello ci scortò per tutto il viaggio. L'autista c'aveva una sola cassetta con una sola canzone: quella; me ne innamorai fin verso Siena, poi mi venne a noia, e dopo presi a odiarla. C'era David Lazzari con noi, dell'Associazione Mazziniana, ho il suo nome in testa, i gesti da capo carovana, la faccia da ragazzo più grande che poi non ho incontrato più, e solo da poco ho scoperto che fa lo psicologo. Forse mangiammo in piedi, davanti alla tomba di Dante, in combriccola, finché a Pietro venne la tenerezza di comprarmi Tex, e fu un gesto stonato eppure perfetto, come ne avrà fatti tre o quattro in tutta la vita. Gli dissi Grazie e lui Che dici: grazie a me? e davvero se dovessi piazzare prima in classifica una frase d'amore che ho ricevuto da che sto al mondo, beh, sceglierei quella. Era così riepilogativa, così riempita di tutte le intenzioni - milioni - che non aveva mai manifestato, così ferocemente essenziale che - avreste dovuto vedermi - mi veniva da ridere. Eccola lì, la polpa della paternità. Gesù, se ce ne volle, di tempo, per fargliela tirar fuori. Ma era un sacco saporita, meglio di come me l'ero immaginata.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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