Parlavamo dell'utilità dei libri, poco fa, a tavola. Una cosa che è venuta con sè, mentre aspettavamo il dolce, e qualcuno l'ha negata, non io, che coi libri ci convivo come un amante ostinato. Ho provato a dire che leggerli fa la differenza, che se incontri una persona che legge te ne accorgi, generalmente ha idee plurali, punti di vista poco granitici, curiosità per cose che vanno lontano, per le parole e la loro scorza, per le parole e la loro sostanza, e l'albero genealogico che le ha camminate fino a noi. Non ho convinto nessuno dei detrattori e non era mia intenzione: compito degli umanisti non è convincere, al massimo discorrere. Che è una cosa che mi piace assai, al pari della pizza napoletana e del gelato al torroncino. Così come credo che aver confidenza con le storie ben raccontate migliori la nostra vita e accorci le distanze dal prossimo, allo stesso modo sono certo che essermi invaghito di certe traiettorie di pensiero, di certe frasi-libellula, di certe affabulazioni dense e albeggianti su una qualche mia oscurità possa avermi scolpito appena un poco più grazioso del blocco di marmo che ero. Io sospetto che questo mestiere che illumina spetti alle persone divaganti, scostate, altre. Gli irregolari, io li chiamo. Sono quelli che hanno sempre un colpo in canna in più degli altri. Quelli che hanno una poetica da cui imparare, uno stile che hanno inventato loro, quelli che nei limiti del possibile schivano i compromessi e vivono con la schiena diritta. Io li ho anche chiamati Astronauti, nel nuovo libro che raccoglie un po' delle tante illusioni di questo blog, perché viaggiano nello spazio mentre noi siamo incollati alla terra. È da loro che ho preso quel poco che so fare. Non necessariamente scrittori, per via che mi intriga tutto quello che è bellezza, e la bellezza è da parecchie parti. I poeti greci, allora, e Francesco d'Assisi; Edward Hopper e Jerome Salinger; Roberto Vecchioni e Robin Williams; Jerry Lewis e il signor Monk; John McEnroe e Roberto Baggio. Fantasisti senza calcolo, stupitori di professione. Alieni, per restare nel tema spaziale. L'umanità ha bisogno di gente così, credo. Che devia i luoghi comuni, rimette tutto in gioco, mostra un'altra direzione. E praticando un'arte tutta sghemba, al contrario che omologata, affatto laterale, rimette in moto il cammino inceppato dell'evoluzione.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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