Una domenica come oggi, ma di un millennio fa, novembre assolato, tabaccheria chiusa, Gastone raffreddato, e Pietro che si divincola dalla severità e mi porta a fare un giro per Narni - io che lo imploravo di accontentarmi da quando, a due anni, già insonne, a notte alta recitavo Papà, 'ppello e 'potto, 'ppello e 'potto. Sì? Forse ha cominciato in quelle notti complicate a considerare la paternità un'idea non così geniale ma ormai ero lì, non poteva rimandarmi indietro. Così quella mattina larga di novembre, fredda il giusto, già allegra del Natale che sarebbe arrivato - per la mia consueta immortalità a tempo - afferrò davvero cappello e cappotto e mi portò fuori. Girammo poco, si fermò in edicola e mi comprò l'Almanacco Topolino. Tornammo indietro, leggeri. Al Belvedere - chi conosce Narni sa di che parlo, chi non la conosce progetti un viaggio - ecco che ci vengono incontro Fulgenzio e Federico, un altro padre e un altro figlio da soli; ci parve come di camminare verso uno specchio. Fulgenzio e Pietro erano ragazzi e erano già amici, per via del Candelaio di Giordano Bruno messo in scena da Giuseppe Manini: facevano gli attori, dio li perdoni. Federico aveva due, tre anni meno di me: marmocchi entrambi, comunque. Adocchiò l'Almanacco e cominciò a toccarlo, io mi ritraevo. Lo detestai. Lo odiai poi quando Pietro mi convinse a regalarglielo. Per consolarmi mi riportò in edicola ma il Topo era finito, e se la cavò con La settimana enigmistica, che faceva gioco più a lui che a me. Non sono stato compagno di scorribande di Federico, lui amava la notte, io il giorno; lui la musica americana io quella italiana. Finché un anno - il '90 - ci ritrovammo assieme in vacanza. Le Dolomiti, con Giorgio Brodoloni, Andrea Liberati, Roberto Stopponi, Franco Bussoletti e una gang di matti sparati che non vi dico. Giocavamo a pallone, tutto il tempo, nel prato dell'albergo. Eravamo andati per le escursioni, le arrampicate, e invece niente: pallone e ping pong. Tutta la fantastica settimana. Poi lo perdo di vista di nuovo. Giusto un paio di bevute durante la festa: un fraportano e un mezulano che brindano insieme, che razza di storia. Qualche anno ancora e vado ad aprire la tabaccheria, la mattina: Pietro, Rita e Sara stanno al mare. Poi sarebbe toccato a me. Si avvicina una donna: "Hai saputo di Fociani?" - mi fa. "Fociani? Chi? Federico? No, cosa?" Si era schiantato con lo scooter addosso a un auto, dalle parti di santa Pudenziana. Al funerale, due giorni dopo, il duomo avrebbero dovuto allargarlo, per tutta la gente che c'era. Era lì per lui, per il suo carattere marziano, che si sgombrava di qualunque peso, e se gli eri accanto, capitava anche a te. E tutti piangevano - gli amici; e tanti tiravano su col naso - gli altri, più distanti. E parevano chiedere a dio che un giorno ogni mille lo rimandasse giù, ci lavasse la memoria e ce lo regalasse accanto ancora per una sciocchezza di tempo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post