Questa è la casa delle stagioni che muoiono sfolgorando, la casa dal cui cortile quadrato, la notte, recuperare la visione delle stelle. Qui l'estate migliore arriva l'ultimo giorno, e l'inverno lo stesso, per dar modo a chi c'è di aspettare l'allegria. Che viene col vento - tiepido finalmente e tiepido nuovamente - del 20 settembre e del 20 marzo; facile, se lasci a corrente, che le finestre spalanchino, spinte da una furia di spettri, che il telaio gema e i vetri tremino, e le porte s'adirino come i padri di una volta, e il canto dell'aria sulle pareti, su per la cappa oscura, paia l'alfabeto del diavolo. Ancora mi so incredulo a ricordare quanta gente è passata e ci ha fatto cose grosse, qua dentro, belle imprese d'amor giovane la cui colpa più grave è avermi costretto scrittore. D'altro canto, chi non avrebbe preso il vizio dopo aver visto tanta bellezza? Una rocca di fantasmi, Itieli, grappolo di case a pietra su un avvistatoio di roccia, e dalle terrazze l'Appennino che curva - e con lui curva la strada, che docile s'adatta alla fisionomia sbilenca di questa Transilvania familiare. Fantasmi veri e fantasmi per modo di dire, ecco di che parlo. I primi li intuisci se sali da solo, e i cani attorno se ne stanno zitti, e armato di pazienza tendi l'orecchio. Prima un refolo in una stanza chiusa, un battitìo come di bastone da passeggio, una voce di ragazza, un merlo che sfrulla da un albero, una donna che canta in lontano. Poi altre soprannaturali variazioni del reale, impercettibili se non hai la coscienza allenata. Se volete vi presto le chiavi, una volta di queste. In camera da letto, per dire, c'è una bambola che vi guarda ovunque vi spostiate: vicini all'armadio? Affacciati all'aia? Quella si gira e vi fissa. Non vi fa del male, solo: è fatta così. Dopo ci stanno i fantasmi per finta. Quelli cioè che non sono morti ma è come se lo fossero. Ci hanno abitato a salti per anni e poi - paf! - son spariti. Vivono, o almeno giurano di vivere, distanti. Non sono più a tiro di malinconia, non serbano nell'intestino - dove stanno le emozioni vere, altro che il cuore - la smania di salirci a domeniche improvvise. E un po' mi dispiace per loro: gli avrei insegnato a contare tutti i respiri di questa casa, che è una gaia corsia preferenziale per un mondo più rassicurante del nostro.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post