Ho salito l'ultimo piano della biblioteca, le stanze arrampicate, e affacciandomi ho scoperto un bel salto. Da lassù tuffarsi sarebbe privo di percentuali di sopravvivenza, il che è incoraggiante per chi volesse passare a miglior vita senza soffrire. Però è un bel posto, la biblioteca, così borgesiano che ti fa passare la voglia del gesto plateale - tanto c'è, tautologicamente, da leggere; e perfino, per architettura, un poco escheriano, con quelle scale perverse, le stanze all'improvviso, i camminatoi le cui code sembrano bocche di altri pertugi, gli abbaini a cielo spalancato, le terrazze vertiginose e i salottini all'inglese. Una palestra culturale, se mai ne esiste una, dove vado sempre con gusto e fatica da scalatore. Quando sto là mi prende la smania del prestito - romanzi scemi, però, romanzi d'acqua, rapimenti d'amore e scorribande, libri leggeri e sconvolti, storie educate che non esistono, piatte come sogliole - mappoi mi turba il pensiero della restituzione - farò scadere il tempo? e se me lo perdo? vorranno che lo ricompri? C'è una donna che accompagnavo in un posto del genere, in un libro che non ho mai finito di scrivere - anzi ce la accompagnava uno scrittore che ho inventato, che chiamai Stazio. Prima andavano sulla riva di un torrente, tra le erbe a mollo, sotto i capannoni industriali, e amoreggiavano: lui le succhiava i capezzoli, e lei gemeva. Poi stanchi salivano in biblioteca e lì Stazio faceva il gourmet - Assaggia questo: è Pratolini; sbocconcella un po' di Auster e mi saprai dire; spremi tre versi in un po' d'acqua, niente sgrassa il palato come Emily Dickinson; e poi lascia uno spazio per me: io sono il dolce e i miei libri sono in quello scaffale. S'ingegnava a incantare la ragazza e la convinceva a portar via pagine di letteratura che non avrebbe mai letto, ma che erano il suo pretesto per ritornare in quel labirinto. Un po' come faceva mia madre quando andava a comprare il pane in certe salsamenterie che non frequentava: comprava pure affettati e uova perché le sembrava brutto venir via con così poco. E perché quando mai fosse tornata la accogliessero lieti. Insomma e a parte tutto, ho poi ridisceso le scale ricontando i corteggiamenti di Stazio e le sue oscenità trattenute - e le mie espresse - e contandole, le une e le altre, scopro che sono in debito con lui, povero diavolo. Farò in un modo: finirò di scrivere la sua storia e la riempirò di donne sfavillanti. Così lui sarà soddisfatto e io avrò un'ottima scusa - tutto quel sesso da scrivere - per rinviare il tuffo a un'altra primavera.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post