Ogni Ti ricordi? è un colpo d'ariete in mezzo al petto, una spintone che mi ribalta all'indietro, e dove casco casco. Talora, come adesso, mi catapulta ad anni ciechi il principio di una canzone, il motivo di cui è innervata, e così non mi raccapezzo più: il 2018 scompare e mi ritrovo giovanotto - pingue e dentro a una maglia atroce - nella notte di Bolsena, sul prato che sconfina il lago e lo recinta, e in un certo modo tiene a bada un'altra Nessie, che deve pur farci il bagno quando nessuno guarda. Quella volta proprio sul prato conobbi gli Avion Travel, dopo che li avevo idolatrati - non esagero - per il tramite di una manciata di dischi fenomenali di cui solo io e pochi altri - pare - coglievamo la bellezza. Impressionai un nastro delle loro parole di musicisti - "Anzitutto la buona creanza" disse Peppe Servillo a inizio concerto: "buonasera" - e quando chiesi cosa sia il talento risposero insieme "E chi lo sa? Prima dovremmo prenderci confidenza". Giocavano a schermirsi e scoprii che l'umiltà gli artisti veri ce l'hanno negli occhi, nei sorrisi franchi, e di nuovo nelle parole. Di lì a poco la mia vita imbizzarrì, prima sgommando su tornanti d'euforia poi planando su certi altopiani disperati che mi hanno spaccato nervi e cuore. E sgommando e planando lasciai indietro tutto quel che mi sembrava trascurabile, e più gettavo zavorre per risalire più la mongolfiera s'afflosciava, e così facendo presi a credere che proprio le canzoni fossero sciocchezze, tenerezze/fantoccio, costruzioni cui non concedere credito neanche per un mattino. Che gran scimunito che ero. Fino a che il tempo ha fatto testacoda e mi ha scaraventato bello e distrutto sullo stesso arenile stepposo: Ale non c'è ma c'è il suo fantasma, come sempre alle costole, e nelle cuffie azzurrine la grazia di brani nuovi della Piccola Orchestra dopo quindici anni. Un po' di clarinetto, il contrabbasso di Ferruccio, i gesti teatrali immaginati, la voce che scherza colle parole e le mette in scena: arieccola, la banda casertana. Sono perciò come entrato in una stanza che non violavo da prima del diluvio, un posto dove ho detto, fatto, baciato - e impalcato ribellioni - come non ci fosse un domani. Si chiama Privé, il disco, così prodigo che se non fossi quasi vegetariano avrei ammazzato il vitello grasso, e se vi girasse di ascoltarlo - aspiranti scrittori, fanatici di suoni sacri, collezionisti di meraviglie - potreste essermene riconoscenti.
Ogni Ti ricordi? è un colpo d'ariete in mezzo al petto, una spintone che mi ribalta all'indietro, e dove casco casco. Talora, come adesso, mi catapulta ad anni ciechi il principio di una canzone, il motivo di cui è innervata, e così non mi raccapezzo più: il 2018 scompare e mi ritrovo giovanotto - pingue e dentro a una maglia atroce - nella notte di Bolsena, sul prato che sconfina il lago e lo recinta, e in un certo modo tiene a bada un'altra Nessie, che deve pur farci il bagno quando nessuno guarda. Quella volta proprio sul prato conobbi gli Avion Travel, dopo che li avevo idolatrati - non esagero - per il tramite di una manciata di dischi fenomenali di cui solo io e pochi altri - pare - coglievamo la bellezza. Impressionai un nastro delle loro parole di musicisti - "Anzitutto la buona creanza" disse Peppe Servillo a inizio concerto: "buonasera" - e quando chiesi cosa sia il talento risposero insieme "E chi lo sa? Prima dovremmo prenderci confidenza". Giocavano a schermirsi e scoprii che l'umiltà gli artisti veri ce l'hanno negli occhi, nei sorrisi franchi, e di nuovo nelle parole. Di lì a poco la mia vita imbizzarrì, prima sgommando su tornanti d'euforia poi planando su certi altopiani disperati che mi hanno spaccato nervi e cuore. E sgommando e planando lasciai indietro tutto quel che mi sembrava trascurabile, e più gettavo zavorre per risalire più la mongolfiera s'afflosciava, e così facendo presi a credere che proprio le canzoni fossero sciocchezze, tenerezze/fantoccio, costruzioni cui non concedere credito neanche per un mattino. Che gran scimunito che ero. Fino a che il tempo ha fatto testacoda e mi ha scaraventato bello e distrutto sullo stesso arenile stepposo: Ale non c'è ma c'è il suo fantasma, come sempre alle costole, e nelle cuffie azzurrine la grazia di brani nuovi della Piccola Orchestra dopo quindici anni. Un po' di clarinetto, il contrabbasso di Ferruccio, i gesti teatrali immaginati, la voce che scherza colle parole e le mette in scena: arieccola, la banda casertana. Sono perciò come entrato in una stanza che non violavo da prima del diluvio, un posto dove ho detto, fatto, baciato - e impalcato ribellioni - come non ci fosse un domani. Si chiama Privé, il disco, così prodigo che se non fossi quasi vegetariano avrei ammazzato il vitello grasso, e se vi girasse di ascoltarlo - aspiranti scrittori, fanatici di suoni sacri, collezionisti di meraviglie - potreste essermene riconoscenti.
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