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Palasport

C'è quel confine tra sonno e risveglio su cui ogni tanto mio malgrado mi ritrovo, tipo stanotte alle quattro - che forse ho aperto gli occhi sul serio, forse li ho aperti in un sogno - e ho intuito davanti a me un volto senza corpo, come una persona seduta sul letto col vestito nero, invisibile al buio. Ha insistito a star lì a mezz'aria, un palloncino, fino a che ho acceso la luce e ha fatto puf. Era una ragazza, o un fanciullo, eri tu ragazza o ero io bambino, e se eri tu vuol dire che mi sei accanto più di quanto - a intermittenza - riesca a sperare. Se al contrario ero io, c'è una parte di me che non mi abbandona, e si manifesta a suo gusto, e si assicura che il suo se stesso adulto non combini guai. Non sia troppo triste, per dirne una, non si adagi nella malinconia fino a trovarla una stanza comoda, come uno che esca con una tipa brutta e se la faccia piacere. Quando mi alzo e vado a far pipì poi per riaddormentarsi ce ne vuole. E nella testa parte una canzone, sempre quella, e sempre lo stesso inciso, mica tutta: venti, trenta, cinquanta volte. Stanotte era Mariella Nava; un po' di sere fa Bersani; prima ancora Sergio Caputo. Vengono a suonare a ore piccole nel palasport del mio cervello e la fanno da padroni. Così loro si esibiscono e io - dopo averli pregati di fare più piano e di cambiare pezzo, ogni tanto -  ragiono. Sulla resistenza, la sopportazione, la tentazione del vuoto - che pure mi ha attratto, talora. E la sopportazione della vita che faccio, che è un po' quella che fanno tutti, sì, pure se direi che a qualcuno va meno storta, riesce meno sconclusionata. E vorrei raggomitolarmi sul divano, certi giorni, e restare lì per sempre, in quella posizione, e non mi cercate, non mi nominate. E la resistenza a buttare tutto per terra - il tavolo con tutto quel che c'è sopra, l'appendiabiti, i libri, i vinili dalla mensola - e prendere tutto a calci. Per non sentirmi dire che sono schizofrenico mi trattengo, e implodo aria e madonne, allo stesso modo degli onesti che non vanno a tempo col mondo schifo che c'è. Così si muore, altro che di cancro o trigliceridi. Lo cantano anche gli artisti delle mie notti del cavolo: Non ci ammazza il fumo, ma i figli e le riunioni di condominio. E se non lo cantano, me lo sarò sognato. Ma sarebbe ora che lo facessero.

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Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia

Zoe

Il giorno della morte di Silvio Berlusconi mi arriva un messaggio sulla chat di Facebook: Ciao, hai visto che anche lui se n'è andato? e così mentre il cuore salta un paio di battiti mi ritrovo a Montalto di Castro, è il 1983, ho sedici anni. Eravamo partiti in due ma l'amico che venne con me faceva le sei del mattino in discoteca e poi dormiva tutto il giorno, cosicché me ne andavo a spasso per conto mio, in bici, per capire un po' meglio che bestia fosse la libertà. Per inciso confesso che dopo quarant'anni devo ancora scoprirlo: l'ho sentita pronunciare da così tante lingue biforcute, quella parola tronca, che mi si sono confuse le idee. Certi scrittori di cui ho venerazione giurano che esser liberi significa non sapere mai per certo cosa voglia dire: se così è allora sono libero, e tanti saluti. E a parte questo, quell'estate fu maestosa. Di primo pomeriggio guardavo Mister Fantasy - coi videoclip di Madonna e dei Frankie goes to Hollywood, e dev'essere