Non è per la taccagneria - anzi: a volte ho le mani bucate - ma per altre sintonie che vivrei in Scozia. Ha a che fare col mio inclinarmi all'autunno come uno stelo all'erba. O un faccendiere al denaro, se gradite un'immagine meno sdolcinata. È lassù che potrei assecondare la mia storta voglia di andar per boschi in cerca di elfi e folletti, di fate che comparirebbero nello smartphone, tipo in quella panzana cui abboccò perfino Conan Doyle, bugia tenerissima e misteriosa. Ho questo carattere d'ombra e foresta che si sposa con la cerca di cose che non esistono, eppure vorrei tanto il contrario. Ho la certezza che m'ambienterei placido sulle rive del Loch Ness a scrutare se per caso arriva Nessie, e in ogni increspatura, in ogni cerchio d'acqua, intuire la testa del mostro. Poi per i campi infiniti, per le terre alte, le colline di greggi lanose e giù fino al mare, guiderei un maggiolino arancione, sbuffandolo, smarmittando, con la cassetta di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band che gracchia per duemila miglia. È una voglia che torna a onde, questa di partire per certe vacanze interminate; è il gusto - che mi manca - di fare due passi prima di cena assieme a un medico di campagna, su una stradina bianca sospettata di licantropi. E poi davanti a un camino gigantesco, in un castello dove qualcuno una volta ha inteso rumor di catene - mentre il biancospino dorme sotto la neve -passare l'inverno a dar fondo a tutte le bottiglie di brandy che trovo, tanto non dovrei rimettermi in viaggio. Forse sarei felice, in una dimensione così. O forse mi mancherebbe il qui, la micidiale urgenza che ho di un futuro migliore. Che per altro ho già inaugurato, paradosso temporale che non sono altro - tanto che quando parlo del futuro che vorrei già ci sono dentro, ed è come innamorarsi ogni giorno di una donna che è la tua: una bella fortuna. Mi sa che dovremmo liberarci dell'apparenza, allora. L'apparenza è l'incerto, il male incombente, il presagio di un dolore. La foschia che s'assiepa ai tetti appena sgocciola l'estate. La sostanza invece io temo sia: che siamo immortali. E lo saremo per sempre. E allora tanto vale organizzarsi - armi e bagagli - in un posto dove trovar agio a dispetto di tutte le dicerie che ci rallentano.
Non è per la taccagneria - anzi: a volte ho le mani bucate - ma per altre sintonie che vivrei in Scozia. Ha a che fare col mio inclinarmi all'autunno come uno stelo all'erba. O un faccendiere al denaro, se gradite un'immagine meno sdolcinata. È lassù che potrei assecondare la mia storta voglia di andar per boschi in cerca di elfi e folletti, di fate che comparirebbero nello smartphone, tipo in quella panzana cui abboccò perfino Conan Doyle, bugia tenerissima e misteriosa. Ho questo carattere d'ombra e foresta che si sposa con la cerca di cose che non esistono, eppure vorrei tanto il contrario. Ho la certezza che m'ambienterei placido sulle rive del Loch Ness a scrutare se per caso arriva Nessie, e in ogni increspatura, in ogni cerchio d'acqua, intuire la testa del mostro. Poi per i campi infiniti, per le terre alte, le colline di greggi lanose e giù fino al mare, guiderei un maggiolino arancione, sbuffandolo, smarmittando, con la cassetta di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band che gracchia per duemila miglia. È una voglia che torna a onde, questa di partire per certe vacanze interminate; è il gusto - che mi manca - di fare due passi prima di cena assieme a un medico di campagna, su una stradina bianca sospettata di licantropi. E poi davanti a un camino gigantesco, in un castello dove qualcuno una volta ha inteso rumor di catene - mentre il biancospino dorme sotto la neve -passare l'inverno a dar fondo a tutte le bottiglie di brandy che trovo, tanto non dovrei rimettermi in viaggio. Forse sarei felice, in una dimensione così. O forse mi mancherebbe il qui, la micidiale urgenza che ho di un futuro migliore. Che per altro ho già inaugurato, paradosso temporale che non sono altro - tanto che quando parlo del futuro che vorrei già ci sono dentro, ed è come innamorarsi ogni giorno di una donna che è la tua: una bella fortuna. Mi sa che dovremmo liberarci dell'apparenza, allora. L'apparenza è l'incerto, il male incombente, il presagio di un dolore. La foschia che s'assiepa ai tetti appena sgocciola l'estate. La sostanza invece io temo sia: che siamo immortali. E lo saremo per sempre. E allora tanto vale organizzarsi - armi e bagagli - in un posto dove trovar agio a dispetto di tutte le dicerie che ci rallentano.
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