Ci aspettava - magrolina e spaurita - nel sottotetto. Le si leggeva diffidenza negli occhi e il passo era cauto, come di chi ha masticato botte e spaventi ogni giorno della vita. Ci prese in simpatia, ma con altera grazia, come discendesse dalla cucciolata di Cleopatra, e quando mangiava, mangiava spizzicando, e lasciando giù la gran parte; poi andava via, senza ringraziare. Io credo ci abbia tollerati fin dalle prime mattine che sfacchinavamo il trasloco, in mezzo ai piedi a curiosare, a intingere la zampa nelle latte di vernice, a capire di che pasta fossimo fatti, se crudele o benevola, e a farci capire che la padrona di casa - volenti o nolenti - era lei. Vive qui da prima di noi, è sterilizzata, è dolce e indipendente, e obiettivamente bellissima. Miagola forte quando vuole spettatori dei suoi crimini: dà la morte civile alle lucertole, agli uccellini implumi, ai topolini innocui di campagna. A volte tento di strapparli dalle sue grinfie prima che li abbia martoriati troppo, e a qualcheduno ho salvato la vita. Mi si intrufola tra le gambe mentre scrivo, ed è come una carezza, un'approvazione: "Bravino, sei bravino - direbbe se potesse parlare. - Che ne dici di infilarci anche a me, in un capitolo?" Mi ha scambiato per Sepulveda, magari. E certe sere ha un muso triste: nostalgia, disincanto o chissà quale altra malattia umana l'avvince. Si aggira per le stanze irrequieta, in certi crepuscoli che tagliano la luce sul pavimento, e dividono l'allegria dalla paura. La nostra paura - la mia - è la sua. Mi sussurra, flirtando col dorso della mia mano, mugolando fusa, che il peggio è passato - per tutti. Che questa nuova casa è una nuova vita. E che lei sta qui a vegliare perché nulla ci accada mai più di abominevole.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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