Passa ai contenuti principali

Le nostalgie

Vorrei arrampicarmi su una Meteora - dove stanno quei monasteri greci costruiti sulle falesie, tra le nuvole - e da lì guardare la vita che rimpiccolita - sotto - dilaga. Ci si arriva solo in cesti come da bucato, legati a una corda e a un argano, e lassù non ci sono donne. Così, senza distrazioni, potrei ricominciare a domandarmi il perché di certe cose. E avrei attorno il silenzio necessario - universale - per ascoltare le risposte. Più di una settimana non resisterei, per via che non sono abbastanza puro per contentarmi dell'essenziale. Tuttavia. Tuttavia metterei a fuoco - può darsi - i motivi della mia scrittura, questa tensione che mi istiga a strizzare parole per farne uscire storie decenti; e darei una spiegazione agli addii, al tempo che non si ferma. Perché una cosa è legata all'altra, mi ci gioco la testa, e non avrei nulla da raccontare né commetterei il peccato di farlo se non avessi piaghe che stentano a cauterizzare. La balorda tristezza, la malinconia, ci affinano; risognarci ragazzini e rimpiangerlo ci squaderna. Per cui: siano benedette, le nostalgie. Torno in vecchi posti che hanno le stesse pietre di un tempo conficcate  nelle porte medievali, sotto cui passavo al ritorno da San Girolamo, con Gino e le bolle di sapone, che finivano subito. Se dovessi estrarre un giorno dai ricordi direi quello: tramontò in un terrazzo largo lambito da un sole di sbieco, a ricaricare il flacone d'acqua di rubinetto e detersivo in polvere. Non venivano uguali, erano senza colori e scoppiavano in un attimo ma presi dimestichezza con la speranza, col fatto che le cose non sono morte, quando pur lo sembrano. E se poi dovessi da quella stessa borsa estrarre un anno direi: 1972. Era ancora tutto intatto: la mia innocenza, gli inverni di spettri e creature, soffiare a gennaio sulle candele; e Pietro giovane, la tabaccheria d'angolo, la poesia nelle Nazionali Esportazioni, come nell'attimo in cui Pessoa scopre di essere stato sciocco, a non capire la vita. E infine una ragazza, che è l'insieme di quelle che ho amato - corteggiandone mille e restando sveglio a implorarne un cenno - all'epoca dei campi rossi, quando giocavamo a tennis con una corda per rete - È passata sotto; No sei un bugiardo: è passata sopra - e una volta uno che non facevamo giocare tirò fuori il pisello e ci pisciò sopra, a quei campi, e dopo ci fece schifo continuare, e finì a sberle. Guardava, lei, al di là della riga dei maschi, tracciata immaginaria per terra, ben ferma nel suo confine di saggezza. Guardava la zuffa deridendoci muta. E io decisi che in quell'istante ne avrei scritto - di lei, del lampo che mi accese in petto e di altre formidabili sciocchezze del genere - per tutto il resto della vita.








Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...