E se parlassimo di cinema? E se parlassimo dei miei gusti strambi e dissennati in fatto di attori? Che diavolo di scrittore sarei se avessi un debole per quelli per cui tutti ce l'hanno? No, invece. Ci pensavo ieri sera, nella pancia di una domenica di collina stanca e snuvolata, che m'era preso l'estro di catalogare i dvd, ordinarli per devozione. Spolverarli, perfino. E ho fatto a mente - così, per puro gesto infantile - una classifica di facce, quelle che erano giovani quand'ero ragazzino e che sono invecchiate o morte ora che invecchio pure io. Gli attori che guardo più volentieri sono quelli che mi paiono parenti, tanto che non mi stupirei di vedermeli camminare per casa, aprire il frigo in cerca di una coca, così che quando alcuni di loro muoiono è come se fosse morto un cugino. Ma quando muore un attore soffro di più. Ho fatto le eliminatorie: ottavi, quarti di finale. In semifinale sono arrivati - tautologicamente - in quattro. Americani: tre ancora vivi, benché malconci, e uno defunto. Li conoscono in pochi: magari due sì e due no, tre sì e uno no, o uno soltanto. Raramente tutti e quattro insieme li han presenti, quelli a cui ne parlo. Han fatto film che mi hanno addolcito la vita e mi addomesticano il furore di sopportare gli imbecilli - quelli che attaccano lenzuoli con scritte penose lungo il percorso degli sposi. Il morto è Dudley Moore, musicista, umorista, malato d'amore. Ecco, se rinasco vorrei rinascere lui ma mi manca una delle tre qualità. Ha fatto un film con Bo Derek che si chiama 10. Cercatelo e se lo trovate abbiatene cura: è leggiadro. E poi la casa che abita in quella faccenda dà sull'oceano, è frequentata da amici pederasti che lui cerca di convertire, ed è piena di sole. Uno spasso. Gli altri sono: Steve Martin - Pazzi a Beverly Hills e Sperduti a Manhattan mi riconciliano col mistero salvifico della bizzarria; Richard Dreyfuss - uno dei ragazzini di Stand by me, quello cresciuto, e il biologo de Lo squalo, film che ho visto sedici volte e che mi ha messo in ansia ai bagni di mare; e Matthew Broderick - Wargames - la prima volta al cinema con una ragazzina, è in fondo solo la storia più importante della mia giovinezza. Quindi con essa coincide. Leggera e perfetta, come tutte le cose che restano. Un sacco di inverni ho girato sui canali in cerca delle loro facce, in questi e altri film. E ogni volta che li ho trovati ho chiesto silenzio a tutta la famiglia e le ho suggerito Godiamoci lo spettacolo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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