Per gli scrittori la mostruosità è attraente - nel suo senso primitivo di prodigio, beninteso, di cosa straordinaria. E a me ben prima di diventare scrittore già costruiva agguati, tipo quando preparavo l'esame di storia della stampa e scendevo, a giugno, verso i giardini estremi della città, dove la memoria piega addosso all'infanzia, e le pietre sono le stesse ma le persone che ci camminano intorno no. Lì posavo il libro sopra l'erba, perché alle rotative di Gutenberg preferivo i deliri di Dylan Dog. Il motivo è semplice: mi facevano spazio dentro e ci piazzavano l'inquietudine. Come una mina innescata che non sapevo quando sarebbe esplosa. Lo racconto oggi perché oggi - insomma, negli ultimi tempi - ho ricominciato a leggere Dylan dopo averlo ignorato per anni. Non mi insinuava più, sottopelle, nessuno spavento, non mi spalancava più paure a cui fosse benefico dar corda. Oggi ho ricominciato non perché di paure lui ha ripreso a nutrirmi - le paure archetipe sono tre o quattro: la morte, le malattie, la solitudine, il pop americano - e una volta che le hai smaltite, difficile tornino a darti il tormento. Ho ricominciato perché gli riconosco ancora un valore letterario che disarciona la timidezza di certi episodi. E per il mestiere che da un po' faccio, serve anche questo. All'epoca, Dylan aveva un'arditezza, nell'assunto, che me lo faceva amare: non solo il terrore terapeutico ma il sospetto fondato che i carnefici veri siano gli esseri umani, anziché le creature della notte. Il ribaltamento dei ruoli è uno dei gusti più saporiti di quel gelataio che è il romanziere, e con tutta l'umiltà del caso io lo ricordo appena posso, ai miei corsisti. La mostruosità di Dylan, allora, era lampante: lui è un freak, un nostalgico, un disadattato, un single malinconico - nonostante le mille donne - un fenomeno strabiliante. (Uno che vive da trent'anni con un clown che parla solo per freddure è da compatire o no?) Cominciavo cioè a ragionare da romanziere - e senza saperlo, attratto com'ero dal suo estremismo: sessuale, politico, ideologico, artistico. Ho capito - negli anni e per il tramite di altri autori capaci di esercitare la più disinvolta libertà comunicativa - che potevo raccontare qualunque cosa con il linguaggio più adatto, e che le uniche oscenità, in una narrazione, sono gli elementi che non è necessario metterci, le gratuità. La violenza e il sangue, talora, erano talmente sparati che mi han fatto da maestri: pareva mi suggerissero Non fermarti alle apparenze, il ribrezzo non è il fine ma il mezzo. Quel tipo con la bombetta che ingoia un ombrello e poi gli si apre dentro, e finisce squartato, non è tutto ciò che stai guardando. Per questo Dylan Dog è un'opera, un condensato di cultura, una scuola, un'istigazione a guardare meglio la realtà, a non accettarla come ce la propinano - prefabbricata - ma a smontarla, destrutturarla, e poi ricomporla per una contemplazione indipendente. Beati quelli che raccontano le alternative, allora, beati l'inventore di Dylan Dog e chi gli ha dato retta: autori suonati come lui e lettori incontenti e anarchici, e discretamente ribelli. Beati quelli che raccontando certe mostruosità camminano un poco l'evoluzione, perché aprono i cervelli come una calibro 20 piazzata giusto in mezzo agli occhi.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post