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L'orto scosceso

E una sera Pietro mi disse "Passami un po' l'acqua", e a me mi s'impicciarono le mani, e gli allungai il tubo dalla parte del fiotto, e lo fradiciai. Rise, mimò uno scappellotto e commentò "Come cavolo ti viene? Trovati un lavoro d'intelletto, ché se no fai la fame". Mi voleva già fuori di casa, mi sa, pure se avevo solo quindici anni. Però lo feci divertire, e non è capitato così spesso, e anche a me si allargò in petto un sorriso rapace come la esse di Nembo Kid. Fortuna che era estate, e il sole cadeva dentro le tasche della gola di Itieli, tra gli Appennini spelati - tramontava quieto, al contrario di me che crescevo implacato - e la pace della sera, da onest'uomini quali eravamo, era una specie di premio, e tutto quel che si poteva desiderare. Innaffiavamo pomodori, comunque. Gli era venuto l'estro, a Pietro. Di comprare le piantine, infilarle nella terra, zappettarla, concimarla, spruzzarle di verderame - "Tanto è innocuo, glielo danno tutti" - e trascinarmi una sera sì e una no ad affogarle d'acqua. Quindici km ad andare, quindici a tornare: i pomodori più cari della storia vegetale. Ma gli serviva per scappare dalla gabbia della tabaccheria: un diversivo, una fuga biologica prima che arrivasse la moda. L'orto era a gradoni - una fatica della madonna a scenderli e soprattutto a salirli, - un precipizio trattenuto da una scultura di terrazze che qualcuno - un sumero, probabilmente -  aveva scolpito sulla rupe. Su una di quelle terrazze - l'ultima giù in basso, naturalmente, perché dice che era quella più fertile - Pietro ci aveva picchettato il campo base. Io credevo che non ci sarebbe cresciuto nemmeno un foruncolo - era poco più di una sassaia -  invece in poche settimane partorì così tanti chili di ortaggi che mi vennero in odio, a mangiarli tutte le sere. Pure, non potevo fingere disgusto. "Ma che vuoi mettere con quelli dei negozi? Senti che bontà!", e io non credo di aver mai detestato tanto un oggetto inanimato - il fottuto signor pomodoro - come quell'agosto. 
Immagino fosse il suo modo di comunicare con me, quella roba lì dell'orto, il suo massimo sforzo. Stavamo insieme, da soli, come mai siamo stati in mezzo agli altri, men che meno in famiglia. Era una persona diversa. Non so dire perché, ma era piacevole salire fino in collina a dilapidare ettolitri d'acqua; tanto quanto era fastidioso stare in sua presenza in mezzo alla gente. In quella casa in affitto dai muri alti e oscuri di cui una volta o l'altra racconterò i brividi - dai quadri tenebrosi, dalle scale tortuose, dai gabinetti lontani, e dal pitale in camera - ho scoperto mio padre come una persona non sempre, non più, nemica. 








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