
Scendo in paese al crepuscolo, come un signore d'altri tempi: con tutta la calma del mondo; o uno scrittore, dal suo ripostiglio in mezzo agli alberi. Vado a comprare Julia di febbraio col ritardo esistenziale dell'artista, perché è il primo di marzo e domani esce il nuovo: stasera o non l'avrei più trovato. Mi piace arrivare in extremis sulle cose ma in tempo per goderne, mettergli il sale sulla coda prima che sia tardi. Così con le persone che amo - che amo dopo che per prime lo han fatto loro; coi posti che voglio vedere da una vita - come New York - e che una buona volta, da vecchio, vedrò; con le cose che scrivo - che cucio al buio dopo averci ragionato a giorno, un attimo prima che diventino libro. Ecco, per esempio, oggi: i giardini si preparavano per la notte - tra le gomme di camion delle altalene, i gridi dei ragazzi e i loro corteggiamenti, come stambecchi, e le nuvole sopra, viaggianti. E ho provato il sentimento di chi arriva appena in tempo. Per fare cosa, a parte comprare Julia, non lo so, ma non importa. Quei giardini li ho solcati sghembo fino in tabaccheria - e ogni volta mi viene in mente una poesia di Pessoa - che qui è un piccolo antro, tipo artigianeria del mare ma cinquecento metri più su. Ha le anforine greche fatte in Cina, i fumetti alla rinfusa, gli zippo di metallo. E a parte questo. Ci sono così tante cose che m'intridono il cuore che mi maledico per aver pensato un tempo di voler morire. Tutto, intorno, ha una scontrosa grazia, e pur senza assomigliare a Trieste mi benedico per essere qui e ora; qui e in nessun altro posto, qui con questa donna e queste tenerezze, e la vulnerabilità all'immane bellezza che c'è, a saperla guardare, e con la paura di ammalarmi che mi fa spavaldo. Io vorrei altre quattro o cinque vite, un bonus di anni sconfinati, spaccarmi le mani dalla fatica e il cuore a sentir mia figlia felice e libera di manifestarlo, finalmente, da dovunque abiti. Questa è la spiegazione, io credo, questo apparente trionfo del dolore che alla lunga sarà distratto dal nostro progetto di non cedergli, e ci chiederà scusa ma faceva solo il suo lavoro, e berremo assieme una cosa al banco, ritratti da Edward Hopper, come vecchi nemici placati. Questa la grandezza delle stagioni di rabbia, degli immobilizzati a letto che parlano con gli occhi, e restano aggrappati alla vita come nessuno mai dei sani. Questa la gratitudine laica che ho manifestato al dio delle sceneggiature grandiose. Come la mia vita, che invisibile si camuffa nei romanzi e trova ogni volta lettori cui esser devota.
Non è affatto facile in due cartelle poco più, quante saranno a comporre questo scritto, riuscire a rendere con la massima efficacia un ambiente e una personalità, con il suo lavoro, le passioni, i drammi e gli aneliti che la compongono, eppure ci sei riuscito. Oltre all'abilita di scrittore, qui si sente molta sincerità, dolorosa e lucida. Ma la cosa che davvero mi ha lasciato senza fiato è questa immagine di un dolore che può diventare un amico, senza rancore, quasi dicesse " niente di personale ".... Una leggerezza esistenziale bellissima perché, come diceva Italo Calvino, la leggerezza non è superficialità, anzi, ma significa non portare pesi sul cuore. Wow! Grande! Con stima, Nicoletta
RispondiEliminaIl caso (ma sarà davvero il caso?) vuole che hai fatto cenno alla leggerezza calviniana proprio nel giorno in cui sto rileggendo le Lezioni americane: strani intrecci del destino. Il dolore non lo so se davvero può diventare un amico, probabilmente combatterlo a oltranza non è il modo migliore per attenuarlo. Forse accettarlo come una delle componenti della vita lo renderebbe più sopportabile. Grazie della stima, Nicoletta.
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