Mi volto talora soprappensiero, in posti affollati, e mi trovo davanti qualcuno, come stamattina - al caffé dove incominciò la mia seconda vita - che mi cammina contro senza immaginare ch'io faccia dietrofront. Un niente prima del frontale mi scuso e sorrido, allora, lo evito, e ricevo in dote un piccolo altro sorriso di resto e un Prego che rincuorano. Oggi, una ragazza magra e graziosa accompagnata da un energumeno, tanto che sembravano dispari come pochi. E a parte questo, eccola, l'unità di misura degli uomini: la mitezza; non può essercene altra di pari sostanza, per gli animali civili che crediamo di essere. Pure, è perfettibile; pure non basta da sola a cambiare il mondo; ma è essenza e nerbo dell'ambizione a redimerci. Che meraviglia, la mansuetudine! Si sposa col gusto che c'è a perdere tempo, un'ora e mezza fermo in macchina, davanti alla Coop, ad aspettare mia figlia e ascoltare Vecchioni, a saltare le tracce fino a trovare quelle più necessarie, tipo Leonard Cohen, tipo La stazione di Zima. Stasera, mentre scuriva il cielo dietro l'ospedale, mentre almanaccavo la mia vita da romanzo e ho proseguito Austin Wright fino a pagina centosettanta, per sapere se il sospetto che ho avuto guardando Animali notturni sia fondato - che cioé lo sceriffo Andes ne sappia più di quanto dica - ero effettivamente in pace. Ammetto che occorra esserlo, per diventare mansueti, altrimenti il furore ci mostra gli altri - e agli altri - come avvoltoi. Ma appunto la mia vita da romanzo oggi ha preso il posto dei romanzi che scrivo, di tutti gli accartellamenti nei quali stipo il materiale che serve, dentro la testa, nel disordine logico che poi me lo fa ritrovare limpido quando occorre dargli uno scheletro e una carne, un significato e una grazia, una catena cronologica di eventi, ed ero per così dire leggero. Stanco per aver fatto forse troppo l'amore negli ultimi tempi ma vivaddio, d'una stanchezza che comprerei, se la vendessero. Mi sono goduto i minuti come fossero gianduiotti, uno via l'altro, fino a ricordare quando altre persone, di recente, sono state mansuete con me: Daniele, l'impiegato del Caf che mi evita di pagare un ravvedimento non dovuto; il pizzaiolo che mi accorda di buon grado il rinfresco per la presentazione del quattordici; la commessa dai denti bianchi che mi chiede cortese se voglio tre cucchiaini a quattro e novanta, ché con la mia spesa da venti euro ne ho diritto. Non li voglio, ma non è questo il punto. Il punto è come me li offre: con mansuetudine.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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