Tira un vento che scoperchia casa, e a manrovesci curva la punta degli alberi intorno. Fuori è tutto nitido, come sintonizzare perfetto un televisore nuovo. Il cromo esavalente non ci arriva, a questa collina con presunzioni di montagna - e tutto è antico, il freddo medievale; solo la strada dai tornanti asfaltati racconta la modernità. Ci ho vissuto già un intero autunno, in questa nuova vita, e una coda d'estate, e un vagito d'inverno. Aspetto la primavera, aspetto di poter rincamminare Safran Foer in terrazzo - in inverno l'ho lasciato perdere perché è romanzo di luce - leggero come sono di presagi, nei pomeriggi che il sole lo colpisce di taglio e metto sullo stendino la biancheria ad asciugare, e i coppi del tetto davanti si popolano di api. Ho compiuto cinquant'anni qui, e può essere un destino. Ho fatto un viaggio, veloce e low cost, nei dieci anni che li hanno preceduti e nei dieci che li seguiranno, e ho deciso che questa età è un campo base. Qui sono arrivato camminando piegato, quasi soffocando; da qui riparto rialzando la schiena, perché ho un progetto magnifico e la belligeranza a scrollarmi di dosso chiunque l'ostacolerà. Eccola, l'epoca delle piene intenzioni. Non erano i trent'anni, non erano i quaranta. Stavo vecchio e addormentato. Letargite acuta, come un orso stanco. Questo ringiovanimento va onorato con nuove scritture, una moltiplicazione di lettori, la consapevolezza meno schiva di una bravura non trascurabile epperò con l'umiltà del caso, che mi faccia avvertito delle debolezze, mi inciti a studiare, cercare nuove espressività, più alte e decorose, se ne sarò capace. Tutto il dolore, le implorazioni al vuoto per farla guarire, i morti che mi han fissato mentre dormivo, gli intenerimenti a ritornare perverso nelle stanze dove avevo capito cos'è la felicità senza trovarcene più nemmeno un singhiozzo, mi hanno costruito qui e adesso. Sono un uomo allegro e dolente, che ha vissuto almeno due vite, e ha una marea di ricordi/stalkers che non lo mollano un attimo e ai quali è tuttavia grato perché gli hanno affinato la malinconia, sgrossato l'estro, consegnato materiale da scrivere per tutta la vita. Questa la maturità, questo il senso della mia storia, questa la consapevolezza critica. Lavoro con le parole come non ho mai fatto perché non avevo mai capito prima d'ora quanto siano munifiche. Ora che loro mi ricambiano sarebbe un delitto non perseverare in una follia che rinsavisce e dà senso a tutto quello che è stato: tormento e bellezza.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post