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Schizofrenie

Lunedì passato decido di comprare un libro, e già questa è una decimazione: per lui ne ho scartati tanti che magari mi sarebbero piaciuti meglio – non di più: è un fatto qualitativo, non  di quantità -  e mai lo saprò, perché i libri esclusi non rientrano in gioco, e lasciano addosso il sospetto di uno spiraglio diverso, salvifico, da cui rinuncerò a guardare, per tutta la vita. Comprarli poi, dopo non averli comprati una volta precedente - che ne fummo tentati - vuol dire che sono una seconda scelta: loro lo capiscono e te la fanno pagare, ti si aprono noiosi, cascano sotto i comodini, tra la lanugine, si fanno le orecchie da soli, alla pagina sbagliata. Avessi l'estro di ammucchiar soldi,  li spenderei senza scontentare nessuno, così una mattina di queste mi piazzerei in Feltrinelli e li comprerei tutti. Non faccio per dire: tutti, sul serio. Oppure sogno di vincere un minuto di tempo in cui – con un carrello da supermercato, surfando tra gli scaffali – mi sia permesso di portarne via più quanti ne riesco. Senza pagarli, s'intende. Un gioco a premi, una lotteria. Parlo di questo. Ma siccome non esiste, io m'ingegno. E ho inventato una tenerezza, e me la sono regalata. Conoscete una persona più adatta di voi stessi a cui regalare qualcosa? La questione è semplice: una volta al mese esco con cento euro in tasca e li spendo come cavolo mi pare, senza badare all'utilità di quel che compro, alla convenienza, alla praticità. Soprattutto libri, è chiaro, ma anche fumetti, e un album di figurine Panini, l'Almanacco del Calcio, l'Annuario di Film Tv, il puzzle tridimensionale di un castello scozzese infantasmato. E poi basta, perché i cento sacchi son finiti e ho le mani piene. La regola è: vietato tornare a casa con il resto, fossero anche dieci centesimi. Devo calcolare bene tutti i prezzi, sommarli a mente, fare prima un giro di ricognizione e poi un secondo di man bassa per dilapidare esattamente quella cifra, non un soffio di meno non un guaito di più.
Fa bene al cuore, dovete credermi. È la mia tassa dello sciupo. Torno a casa con un senso di colpa largo come le intenzioni di una donna che è da un po' che non si bea, ma incosciente come un bambino; allegro, rasserenato, anzi, perché non mi piace comprare una cosa per volta, preferisco il bottino, preferisco rincollinare carico come da Roma un lanzichenecco, che sua moglie lo avvista piccolo e insanguinato appena scopre la curva dei campi. Ho le mani impicciate, alla porta, perché non imbusto nulla ma impilo, e le chiavi sempre in una tasca lontana, irraggiungibile dalle dita, e suono col naso, o col gomito, e qualcosa per terra per forza mi casca. Un'anima buona mi apre e rovescio la scorribanda sul tavolo: c'è chi mi da del matto, chi mi compatisce, chi mi sorride con tollerante complicità. Ma che ne sanno, loro? Che diavolo ne capiscono del gusto di scovare due copie dello stesso romanzo e non saper quale prendere? Una è incellofanata, una no. Una è pura, casta; una è un po' troia: l'hanno presa in mano in cento, violata tra le righe; ripudiata poi, visto che è ancora lì. Ha le alette sgualcite, è un po' curva, non dritta, intoccata come l'altra: la beghina. A pensarci bene è un po' come la pretesa di certi di essere sempre il primo amore di chi incontrano. Ma coi libri è un fatto davvero più osceno. Se scelgo la copia zoccola mi accerto che sia perfetta: la sfoglio tutta, prima di andare in cassa, controllo la merce, malfidente che sono. Se piglio l'altra, dalla vulva chiusa, non so che sorpresa mi aspetta una volta sulla mia poltrona, nella pozza di luce-isola della stanza buia: magari ha le pagine incollate, i capitoli montati male, i capoversi sbiaditi. Però è solo mia, non è stata mai di nessuno. Il senso di possesso a volte vince. Una specie di ius primae noctis letterario. Ma sapete che faccio, per non restarci fregato? La spoglio davanti a tutti, la discèllofano. E la studio con attenzione. Passo le dita nel solco della rilegatura, per vedere se tiene. Se è tutto in ordine la compro. Così non ho brutte sorprese e m'illudo d'aver soddisfatto la mia stupida gelosia di maschio nella sacrosanta società matriarcale.

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