C'è questa smania dell'annientamento, a volte, che mi stringe più del dovuto, e avvilisce le mattine sporche di biacca sopra il mio terrazzo, il dovere di aspettare allegro chi torna da un breve viaggio. Ma è la lontananza - più che il suo tempo - a chiudere lo stomaco. L'idea che la persona indispensabile è a 180 km e se mi occorre qui e adesso è impossibile. Un pensiero del genere è talmente stupido che uccide. Poserei l'occupazione di vivere per vedere che succede, in frangenti del genere. Sciopererei. Per protesta. Smetterei di curarmi dei figli, pagare le bollette, mangiare sano, rigar dritto, caricare il telefono, telefonare a mio padre, comprare i libri di Che tempo che fa, pagare il parchimetro. Smetterei di essere un bravo ragazzo per inaugurare l'era della teppa. Ganzo, potrei perfino scriverne sul serio, mica così. L'annientamento ha di buono che non avrei più a che fare coi film in cui ballano come dei forsennati e si confidano l'un l'altro Se mi cacciano dall'accademia mi uccido; col cibo per cani servito su vassoi di cristallo; con gli stilisti in tv - Carlo ed Enza, o viceversa, non ho capito bene - e le loro complici vittime, che rappresentano tutto quello che un uomo di buon senso e letture possenti combatte per tutta la vita: il nulla, il fatuo, il perculamento altrui senza titolo. Prima dell'ultimo giorno dovrei leggere tutti i libri che ho solo fatto finta, ma una parola appena, come pescare una lettera di pasta dalla minestra, quando ero ragazzino. Da "Opinioni di un clown" trarrei chiacchiericcio; da "Ogni cosa è illuminata" ammiccar; da "Il vecchio e il mare" argenteo. Saprei così tutti i libri che devo senza leggerne nessuno, epperò avendoli violati e in un certo senso letti davvero, come andare con una donna fino in camera sua, annusarne per un istante il sesso e scappar via inorridito, la coda tra le gambe, sconvolto da quell'impegno immane. Alla fine tutte le parole pescate le metterei insieme, alla rinfusa, a formare un altro romanzo, il romanzo dell'insensatezza. E sarebbe - al netto di qualche illusoria vacanza low cost nella felicità a lampi - l'epitaffio perfetto della mia vita.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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