Certe mattine sconfino nei ricordi come una mosca in una zuccheriera, e come quella mi ci addolcisco, finché non tolgono il coperchio e mi fanno volar via. Sono stufo di raccontarli e allo stesso tempo non so farne a meno, razza di tossico incurabile. Ci ho messo un po' a capire che la memoria è tutto quel che sono, il presente e l'avvenire, e per cui ogni passo che muovo ha senso solo rapportato a lei. Se scrivo, per esempio, mi diverto a rompere la parete tra me e chi legge, lo porto dentro, lo invito sul palco o nel retro di casa, dove c'è un giardino d'erba e tavolini di ferro, e da una parte un piccolo rinfresco, con caraffe di frutta nel vino. Così succede nel romanzo nuovo, il terzo, che per la piccola esperienza dei primi due sto curando più nei dettagli: un tantino maniacale, ma mi piace solo così. La memoria c'entra anche in questo, anche se in maniera diversa dagli altri. C'è la memoria della morte scampata, che nei giorni si è mutata in sollievo e quindi in felicità, più densa e tignosa di quella vecchia perché arriva dopo il disastro. Non sei felice davvero finché non hai provato che diavolo sia la disperazione perfetta. Così la trilogia sarà compiuta, speriamo. E l'Apocalisse, dirò, è il libro della paura che sfibra nervi e cuore; Mirka quello del lutto, dello smarcamento da dio, della tensione a non affogare con la ciambella dell'ironia; questo, il libro della gioia, della consapevole bellezza incosciente oscena strafottente della vita. Poi dopo che succederà lo capirò dai miei muscoli. Dove mi porteranno andrò. Intanto la nuova storia ha una filigrana preziosa, così come le parole che uso sono per quanto posso nuove, e sperimentale il sistema di incastrarle insieme. Il pretesto da detective story è appunto quello: una scusa per parlare d'altro. Degli esseri umani e delle loro reazioni - scomposte esilaranti - di fronte a quello che succede. E quello che succede, l'ho imparato a mie spese - e il conto era salato - non è solo formidabile da raccontare, ma proprio da vivere.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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