Stanno certe case serrate dietro certe persiane chiuse che costeggio da una vita con la voglia eterna di guardarci dentro, e vedere che stanze acchittate hanno, così come oggi a Narni, che inseguivo le nuvole. Ma in concreto le nuvole che sono? Me lo strachiedo da che il passato ha smesso di essere presente e ha cominciato a trasmutarsi in memoria, come il metallo vile in oro. Ho strapazzato i ricordi in lungo e largo: più vicini, per quanto remoti - preparavo il primo esame d'università e scappavo a san Girolamo col libro di storia della stampa e Dylan Dog, e sdraiato sull'erba indovinate che leggevo? - e remotissimi - giocavamo a tennis alla Valletta le sere di giugno e poi cenavamo insieme all'aperto, con le polo Fred Perry che sembrava ci sponsorizzasse, freschi di doccia. Dove sono finiti, tutti? I morti sono morti, ok, ma ci sarà pure un posto dove alloggiano, mica davvero crederete che si svanisca nel nulla? E magari da una vita - da che sono appunto morti - cercano di comunicare con noi, con quei cazzo di baracchini che non funzionano. I vivi invece non hanno tante scuse: si sono sciacquati dall'anima senza l'alibi d'esser defunti, e ogni tanto se chiamassero non farebbero un soldo di danno. Qui comunque ci si sono sposati i miei, 1965, in quel posto - san Girolamo, - dove ora dicono messa la domenica mattina e basta, in fondo a viale Martiri Partigiani (a Narni abbiamo sempre mischiato dio e marx con disinvoltura). Comunque. Comunque io non l'avevo capito che la vita di prima era a scadenza, pensavo
siccome era cominciata anzi che per legge imponessero le date di
consumazione sugli alimenti, si potesse fare appunto come con quegli
yogurt lì: mangiarla per sempre e non faceva male. Invece un po' di male
l'ha fatto e ora ritornarci, sui luoghi del relitto (che sono io, in forma ma pur sempre vascello di seconda mano) fa specie. Sempre qui mi ci portavano nonno e la domenica zio, a leggere Zagor e guardare gli altri ragazzini far comunella, che io ero scontroso e misantropo già allora. Gino, Gastone: telefonate, qualche volta. Ho cambiato numero ma fatene uno a caso, come dio dice a Mirka, e càpita che sia quello giusto. Perché magari gli anni settanta erano peggio di quanto ricordo e gli ottanta meno leggendari di come sospetto. Ma mi mancate come tutte le cose che avete fatto per me, burberi che non siete altro. E io ogni volta che mi uccido ubriacandomi di tempo andato, state lì, in prima fila, a comprarmi la gazzosa al chiosco della donna zoppa e a porgermi il bicchiere, che sul banco non ci arrivo.
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Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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