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Per inciso

Concedo troppo ai ricordi, lo so, ma senza, questo blog non esisterebbe. Senza, Mirka non avrebbe camminato la sua avventura, né io starei scrivendo ancora, perché ogni cosa che progetto per l'indomani - un nuovo libro, una nuova storia da raccontare in pubblico - si avviluppa attorno al passato: il futuro è già accaduto. La mia buona ossessione, scoperta piuttosto tardi - come l'America -  ma non così tanto da impedirmi di assecondarla, è scrivere, ma da sola la scrittura non basta. Bisogna poi parlarne, di quello che scrivi, chiarire i punti che a taluni paiono oscuri, fornire i dettagli, spiegare le dinamiche che portano a impalcare una storia, quella sola e non altre. Non faccio parte della categoria di quelli che fanno parlare i libri al posto loro. I miei libri parlano, certo, cerco di scriverli chiari quanto basta per convincere tutti ad arrivare all'ultima pagina e intelligenti a sufficienza per fare in modo che nessuno se ne penta. Ma poi, quando mi chiamano in qualche posto a presentarli, mi mostro senza inutili pudori e dico tutto fino in fondo, tutto quello che non ho potuto, voluto o pensato di scrivere. Una storia nasce sempre da quel che vuoi confessare, di intimo e di vero; poi ci costruisci sopra l'invenzione. E allora è inutile che mi chiedano cosa c'è di autobiografico nei miei romanzi. La risposta, l'unica possibile, è: tutto. O, se la si guarda da un'altra prospettiva: nulla. Sta al lettore scegliere se credere a una bugia o diffidare della verità. Tertium non datur, e scusate il turpiloquio.
Comunque mi chiedono sempre questa storia del titolo, chi è la quarta persona più importante, e mai nessuno che mi abbia chiesto chi sono le prime tre, e soprattutto nella classifica di chi. Questo significa sbirciare l'effetto ma non la causa, che è come sapere il risultato di una partita che guardi in differita: non c'è gusto. Poi che i libri comincino a vivere davvero quando viaggiano è un altro discorso. La loro dimensione è dinamica, il libro è un oggetto fintamente statico, in realtà è un maratoneta. Possiamo spostarlo dove ci pare e lui ci asseconderà sempre, instancabile. Non protesta mai, non è come una suocera, che se la porti al mare voleva andare in montagna. E insomma, per inciso, io dentro questi libri - due per il momento - ci ho sputato l'anima. Ecco perché me ne rimane poca appiccicata dentro. Ecco perché a vedere occhi che li leggono, mani che li soppesano come valutandoli a etti, sorrisi che s'aprono a rubar tre righe, panchine lasciate vuote al chiar di luna perché siete a casa a leggermi, mi riparte il cuore. La prossima volta sarà lunedì, al Vallantica Resort di San Gemini. Se vi va, ci troviamo lì appena fa notte e vi racconto una storia  talmente piena di dolore da risultare comica. E una vita talmente priva di senso da risultare finalmente, adesso, perfettamente comprensibile.









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Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

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