Passa ai contenuti principali

La mattina

copyright by Giorgio Cavazzano
Ho tanto scritto quel che desideravo che a furia di scriverlo si è avverato. L'ho nascosto tra le righe, come si conviene, l'ho lasciato intendere. Una mia amica - sveglia - l'ha capito subito e oggi alla prima occasione me lo rinfaccia, carinamente, e io le sono grato. Mi vuole bene: ci conosciamo da 35 anni, eravamo ragazzini. Quel che ho desiderato, come quel che tutti desideriamo, ha a che fare con le stelle, etimologicamente. I desideri, il cielo stellato sopra di me - kantianamente parlando - la mia artigiana scrittura biologica. Tutte cose sane, via. Cose che fanno densa la vita, le consegnano grembi di benessere, dentro cui rifugiarsi per un po'. Come d'inverno che occupo l'angolo di casa più letterario, lontano e tenebroso e lo abito di me stesso, d'una poltrona come dio comanda, di una luce fievole e di un romanzo alla bisogna: gotico. E di una coperta sulle gambe, e il mondo là fuori finalmente scompare. Altri angoli, di tempo più che di spazio, hanno per natura colori più nitidi degli altri. La mattina, per esempio, è un pezzetto di tempo così. Dovrebbero dilatarla per legge, farla capace di tutto il giorno. La mattina io vivo più volentieri e mi sorprendo allegro: faccio il bucato a mano, lo stendo, lascio sotto ai miei doveri un filo di musica, mangio un cornetto al miele, indosso una maglia troppo giovane e mia figlia me lo fa notare, salvo poi ritrattare: Non sei male per essere attempato, metto su il caffé e lo aspetto salire, - aspettare: che verbo magnifico - finisco di leggere la storia di Reginella disegnata da Cavazzano, che il sonno, ieri sera, mi ha sospeso. Che lestofante, Paperino. A casa è fedele, ma basta un tuffo nell'oceano e si scorda ogni altro amore. C'è solo Reginella, con quegli occhi che non esistono altrove, quel sorriso per cui rubare, andare in galera, farsi qualche anno di ali di libertà e poi uscire perché fuori, ad aspettarti, c'è sempre lui - quel sorriso. E insomma dicevo la mattina: deperibile, purtroppo. Alle 8 è già scaduta. Ma per fortuna torna dopo ventiquattrore più fresca di prima. In qualunque stagione. E allora così è più bello svegliarsi.







Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...