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La buona scuola

Una scuola media che conosco chiede a ciascun alunno di pagare dodici euro per ascoltare letture di brani scelti in inglese e spagnolo con insegnanti madrelingua. Si precisa che chi non paga non potrà partecipare e dovrà svolgere esercitazioni per conto suo. Alcuni genitori scelgono di non pagare: non è chiaro se siano previste ricevute o è tutto in nero; è l'ennesima richiesta di denaro dopo i trenta euro versati dalle famiglie per fantomatiche spese di cancelleria e dopo la costrizione all'acquisto dei biglietti della lotteria natalizia; e soprattutto l'iniziativa suscita dubbi sulla competenza della prof titolare se ha bisogno di una collega madrelingua per far ascoltare la pronuncia giusta ai ragazzi. Un po' come se io, al momento di leggere Dante, chiamassi un glottologo perché l'italiano del Trecento non lo padroneggio a dovere.
Ma il bello è come finisce. Finisce che anche gli studenti che non hanno pagato partecipano al corso. Perché? -  chiedo in segreteria. -  Com'è possibile? Nessuno mi sa rispondere, sono tutti evasivi. Se io fossi uno dei genitori paganti mi sentirei un tantino preso in giro. E dato che sono maligno forse penserei che le prof non hanno voglia di assegnare compiti supplementari ai ribelli, perché poi dovrebbero correggerli. E allora fanno all'italiana. 
Conosco la scuola, un po'. Sono quarant'anni che la frequento, da una parte e dall'altra della barricata. La conosco abbastanza per confermare che le rivendicazioni dei precari sono sacrosante: salari miserevoli, spostamenti massacranti di centinaia di chilometri, valutazioni di merito fumose, graduatorie bloccate. Ma con la stessa onestà dico che la manifesta rovina della scuola italiana è addebitabile anche ai docenti. A un certo tipo di docenti, almeno, suddivisibili in categorie quasi kantiane. Provo a delinearne la fisionomia.
C'è il prof che entra in classe con le fotocopie della lezione, le distribuisce e poi si mette a chattare sul tablet per tutta l'ora; c'è quell'altro che spiega confusamente, di corsa, infastidito, chi ha capito ha capito e chi non ha capito s'arrangi, con l'aria di chi sta lì a farti un favore; ce n'è un terzo che giustifica la sua presenza a scuola solo se può dar sfogo a una libidine organizzativa di programmazioni deliranti e progetti extracurriculari in cui si insegna ai ragazzi l'arte di intrecciare tappeti peruviani. Ma esiste soprattutto UNA categoria di docenti che mi manda al manicomio: chiamasi Responsabili del comitato di lettura.  Costoro girano per le classi con un elenco di titoli di perfetti sconosciuti caldeggiati dalle case editrici, carneadi dall'insignificante talento che scrivono libri carini e spaventosamente finti, zeppi di cani maltrattati, foche monache da proteggere, bambini che parlano politicamente corretto mentre nella realtà bestemmiano come scaricatori di porto - non li avete mai ascoltati? - e figlie che amano teneramente le mamme. Vicende pseudomorali di seconda mano in cui l'ipocrisia trionfa e in cui nessun adolescente si riconoscerebbe mai. Poi ci stupiamo se a quindici anni detestano leggere. Per forza: gli han fatto far pratica sul nulla, pensano che tutti i romanzi siano così.
A un collega, una volta, uno di questi che si fregiava della coccarda di responsabile della biblioteca scolastica, chiesi E i classici? Son troppo difficili, rispose; e io Per loro o per te? Mi tolse il saluto: così va il mondo. Non ho mai pensato che I ragazzi della via Paal o L'isola del tesoro e neanche Robinson Crusoe fossero troppo difficili. Li ho letti a tredici anni. Ma siamo in un'epoca stupida, in cui neanche noi insegnanti sappiamo cogliere la differenza tra un'opera immortale e un'altra che sarebbe meglio morisse quanto prima. Anzi: sarebbe meglio non fosse mai nata.
Alla fine resta l'orgoglio di fare un mestiere bello come pochi altri. Un mestiere in cui a volte hai il sospetto di seminare nel deserto e invece spuntano fiori che neanche t'immagini. Quando un trentenne ti chiama e ti fa Si ricorda di me, prof? Stavo in classe con... e ti cita nomi che hai scordato o a cui non sai abbinare facce, e prima di mettere giù confessa Sa, la volevo ringraziare: lei mi ha cambiato la vita, è stato il migliore, uno dei pochi insegnanti che ricordo con piacere. Le sue lezioni erano uno spasso, beh a quel punto realizzi che vale davvero la pena sbattersi ancora qualche stagione per trasmettere quel poco che di bello ti è rimasto dentro, della vita. Questa, non altre, non in questo mondo -  il meno peggio dei mondi possibili, non più il migliore -  è la missione primaria della buona scuola: seminare bellezza. Un particolare non esattamente superfluo. Ma nessun decreto ministeriale, temo, lo includerà mai fra i suoi capoversi.








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