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Peccato che a Narni non c'è il mare


Adesso ricominciamo con Narni, che è tempo di raccontarla un altro po', se ci riesco stavolta in modo differente. Oggi - ultimo giorno d'inverno - ci salgo e mi trattengo più che posso, anzi quando già sono ripartito giro la macchina e torno indietro, per il gusto di tornarci due volte la stessa volta, con la scusa a me stesso di certi ellepì dimenticati. Narni ha una porta d'entrata e una d'uscita - come la vita, a guardar bene - che si scambiano le parti a seconda di dove provieni, se da nord o da sud. Oggi è un mese che non ci tornavo: mai tanto tempo di seguito le sono stato lontano. La cammino sghemba, preferibilmente da solo, mettendo alla prova la consistenza dei miei tendini sui vicoli torti e la tempra delle caviglie sui sanpietrini. In realtà non cerco Narni, cerco il me stesso ragazzino che l'abitava come dentro una polla d'ingenuità; ora, che ha uno spessore di passato mio che ricopre i monumenti e i palazzi e le case dove ho ucciso la giovinezza, è un serbatoio di memorie che prima non poteva esistere e dunque tutto il gioco è esaltante e doloroso. Manifesti funebri attirano l'attenzione: una ragazza che conosco, benché persa di vista da tanto. Veniva a comprare le sigarette a bottega, sorrideva, aveva qualche anno - sei o sette - di più. Perché non si vive per sempre? Da adolescente ero ipocondriaco, poi mi sono rassegnato ad essere un sano adulto malato. Ho creduto una ventina di volte di avere il cancro: almeno, quando mi diranno che ce l'ho per davvero mi sentirò preparato. Esiste per tutti un destino. Se vogliamo semplificare: il romanzo che dio scrive alle nostre spalle. Non serve a niente smettere di fumare o mangiare meno carne; e recitare litanie alle forze della natura e mantra che s'intonino con la musica dell''universo mi fa francamente sbellicare. Sono solo pratiche da stregoni che ci danno l'illusione di poter disporre della nostra vita. E ho anche il sospetto che l'ateismo sia il peccato di presunzione più grosso che commettiamo. Guarda te come siamo combinati. L'unica pratica che se non allunga la vita la rende più allegra è costruire felicità con chi ami. Stare e ridere insieme, andare a far la spesa in due, progettare vacanze faraoniche e poi finire a Itieli a mangiare una lattina di tonno in faccia al tramonto. In pace più che in un qualunque altrove.
Un giorno ci sposeremo in riva al mare. Non un giorno chissà quando: prossimamente, come la scritta tremante che passava al cinema Leonori mentre eravamo incoscienti di tutto, trentacinquanni fa. Nozze laiche davanti all'infinito. Mette i brividi, a pensarci. Magari con due testimoni - tra i pescatori, i poeti, i musicisti, gli spazzini, i fruttivendoli, i pusher, i giornalai - che dovessero passare di là il giorno che non han voglia di lavorare. Peccato che a Narni non c'è il mare. Una volta han provato a portarcelo, era pure geniale come idea; tornai a casa coi piedi fradici e mia madre me li scaldò col phon. Era il tempo in cui ridevamo di ogni cosa seria, mentre poi avremmo pianto per ogni sciocchezza. Comunque oggi ho finito il giro tuffandomi in edicola, come quando ero bambino e leggevo Ken Parker di nascosto; e poi alla drogheria sotto il duomo a comprare l'uovo confettato spaccadenti. Nonno Gino ci prendeva il vino alla spina. Io che sono quasi astemio - ma non ieri sera, che era festa - mi sbronzo talora di ricordi che farebbero più male se scellerato li trascurassi.





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