C'è poi quella faccenda delle case che prendono a vivere solo quando tu c'entri per la prima volta, anche se serbano un'altra storia incespicante cui hanno assistito negli anni, e potrebbero raccontarla. Ogni prima volta che uno lo guarda il teatro cambia pur rimanendo uguale: sono i tuoi occhi fino ad allora altrove a farlo inedito. Allo stesso modo sono entrato in una vita che ha preso a vivere solo con me, nel medesimo istante in cui la mia, di vita, rinasceva ospitando la sua. Prima c'era stato tanto dispetto e per entrambi un po' di speranza: giornate di costernazione, passioni malriposte, attese interminabili in terrazzo, rumore di macchine in avvicinamento che a svelarsi - dietro la curva - non erano più quella consueta. E tutto ciò che abbiamo vissuto di orrendo e sublime fino a una ventina di settimane fa lo abbiamo vissuto da soli. Senza noi due, voglio dire, non assieme. Sembra folle, a pensarci ora, a guardarci ora: la trama schizofrenica di un sogno all'alba, quando sei più vicino al risveglio e i sogni t'inquietano mischiandosi al vero. Eppure abbiamo già mezza vita andata, a voler essere ottimisti. Che vita è stata? La preparazione di questa, l'antefatto. Per cui un'altra vita: non sono io quello di allora, sono troppo cambiato per esserlo. Non trovo risposta più esatta. Per come vivo, per come disegno l'avvenire con le dita, - i tratti di un bambino che traccia nell'aria il giocattolo più ambito - per come desidero lei e nessuna altra fortuna al mondo, non ho una risposta la cui precisione possa essere garantita più al millimetro. Così non contano le incombenze fastidiose, non importano niente. Non valgono - ad avvilirci - lo stipendio ignobile che non arriva, il sospetto di dar via la propria professionalità al punto che sarebbe più dignitoso, se l'avessi, fare altrettanto con la mia virtù. La nostra bellezza, invisa ad alcuni, profetizzata effimera da uccelli di malaugurio, invidiata malcelatamente da altri, è qui e ora, ammirata dai passanti di tra i vetri di un caffé. Ed è là e domani. Vivremo mai saziandoci di stare accanto, io questo lo posso giurare, anzi l'ho già giurato. E nessun tagliatore di teste di nessuna scuola privata, nessun affarista in tonaca da prete, nessuna pia donna di nessun esercito della salvezza potrà mai far niente per rovinare tutto quel benessere che stiamo fabbricando.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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