Passa ai contenuti principali

Profezie

Una decina di anni fa Corrado Augias disse in tv - non so se per compiacenza al governo di allora o schietta convinzione - che se l'Italia non avesse adottato l'euro saremmo tutti andati a pietire un piatto di minestra alla Caritas. Ho ritrovato nella mia memoria - a guardar oggi la folta coda dei poveri cristi fuori delle mense diocesane in attesa della stessa minestra evocata da Augias  - quella incauta profezia e ho capito - definitivamente e tardivamente - che non sempre un'apparente, etica professionalità ci fa autorevoli. Sono giorni di foschia e  cielo spento, questi, quaresimali in forma e sostanza, che mi smaniano urgenze di primavera. Aprile ha già lasciato il segno nella mia vita, come altri mesi fatui e crudeli, tanto che se dovessi eleggerne uno a sua quintessenza dovrei far torto agli altri undici e allora è meglio temporeggiare. Un altro Aprile,  a bottega, mentre attendevo al pietoso compito del figlio devoto che studia da tabaccaio senza averne l'estro e prima del moto carbonaro d'orgoglio che mi fece quel che sono, conobbi Enrico Brizzi per il tramite del suo Jack Frusciante e oggi quel romanzo, il linguaggio e le sue notevoli intuizioni li consiglio ai miei ragazzi più piccoli, dalla prima alla terza media, ché i diciassettenni hanno già - per responsabilità della scuola stessa - il callo indurito dell'odio alla lettura. C'è più letteratura in una pagina di Jack che in tutte le saghe messe assieme degli erripottertuailait  con cui ammazziamo credendo di stimolarla la fantasia degli adolescenti, impuniti insulti alla narrativa, insignificanza che non dovrebbe aver neanche per sbaglio dimora, come invece ha, nei sussidiari. E dunque mi trovo - di primo pomeriggio col sandwich in elaborata digestione - a parafrasare la Rowling come ci fosse davvero qualcosa da scoprire con altre parole che non siano le sue già inconsistenti. Accanto al genio di Rodari, nei libri di scuola stanno, quasi per contrappasso o schizofrenia di certi editori,  le avventure infantili del maghetto occhialuto che - misteriosamente - incantano tante anime belle. I cattivi maestri di questo si vantano: di lasciare il segno. E di avere un esercito di candidi talebani dediti all'insulto via facebook se osi mostrare la miseria del loro vangelo o che le tirature milionarie non significano necessariamente qualità ma solo che fai parte del club più alla moda. Io non sono capace di guardare più in là dei prossimi dieci minuti. Io sogno, non prevedo. Ma se avessi un seme di preveggenza, anziché categoriche sciocchezze sulle monete correnti, avrei visto e pianto la carcassa di una scuola dove gli scrittori sono tutti uguali, dove non si orienta al meglio ma tutto viene messo dentro la stessa pentola. E dove R. L. Stevenson e Stephenie Meyer possono dividersi equamente le pagine di un'antologia senza che nessuno lo trovi scandaloso.






Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...