Passa ai contenuti principali

Maschere, recite e camuffamenti

Trovo nella pagina bianca di Verdi colline d'Africa - scritti a penna - il mio nome e una data: 1980. Avevo tredici anni e siglavo i miei libri per quando sarei stato grande, cioé adesso. Non credevo il tempo sarebbe passato tanto rapinoso, da fermo che sembrava all'epoca. Ma già allora lo scrivevo un po' dappertutto, per dirmi Io ci sono e sperarmi adulto, a riavvolgermi negli anni d'infanzia, a dire Io c'ero. Mi sono camuffato, così, e - pur inseguendolo -  ho temuto il ricordo, pratica di sofferenza che se ci fosse una compressa che l'annienti la prenderei. Pesca in acque inesplorate -  in certi abissi dove alloggiano i mostri marini e la luce è tutta buio -  il viaggio che mi cucio addosso, sopra i miei anni felici che credevo orrendi. Mi costringe a pensare al mio nome a inchiostro sopra quella pagina -  immobile placido immortale - mentre nella mia vita accadevano cose. A quell'oncia d'anima che magari c'è rimasta impigliata, lì tra la effe e la erre o al conchiuso esse-ci-o, ho risparmiato gli orrori lucidi di maligna perseveranza e gli incredibili pomeriggi vuoti di voglia di vivere dei vent'anni. Teneri gli oggetti che riponiamo e che abbiamo usato solo per poco. Appena ci ricascano in mano - e sono loro a decidere il quando - passato e presente diventano la stessa cosa: i libri sono rimasti pigiati l'uno all'altro e si sono ammuffiti; i portachiavi, i biglietti del cinema, i passaporti scaduti, chiusi in un cassetto per trent'anni e - anche -  per dieci minuti. Nel frattempo abbiamo amato, vissuto esaltanti pomeriggi al mare quando la luce si faceva coraggio, alla fine dell'inverno, e tutti sembravamo non dover morire mai. Abbiamo aspettato che sfilassero sotto le finestre i bambini mascherati, a Carnevale, ricordandoci una stagione in cui camuffarsi era solo fuori, e non avevamo ancora bisogno di nostalgia perché il tempo alle spalle era troppo esile per qualunque dispiacere. L'inverno cominciava a finire quando era ancora a metà, per me. Anticipavo la primavera cercando fuori dalla finestra una mano di celeste tra le nubi. E sognavo una vita a forma di romanzo, per niente somigliante a quella in abiti borghesi. E sono stato, così, di volta in volta, tutti i personaggi che ho voluto. Ho il vanto di aver scelto la mia parte, sempre, recitando solo parole che avrei voluto scrivere io, se fossi stato (e fossi) più bravo a farlo. Ma alla fine dei conti, Carnevale o no, resta forse quel vestito da capo indiano l'unica perfetta mia forma reale tra tante rassomiglianze al vero.

Commenti

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia