
Ma non volevo parlare di questo, volevo parlare di me. Se non vi interessa l'argomento, aria: questo campo è mio, il pallone lo porto io e si gioca come pare a me. Io che per il principio della libertà ho sempre amato e non amato chi ho voluto. Cazzo, se l'ho fatto. Ed è grandioso pensare per due anche quando sono uno, come stamattina che siamo momentaneamente lontani, suscitando ironie, inviti non richiesti a vivere nella realtà - quando vivere nel sogno è così dannatamente reale - malauguri, sospiri di astinenti vergini guerriere. Così la libertà oggi, 16 gennaio 2015, centonovesimo giorno della Nuova Era, è dire e scrivere quel che voglio: il mio nome sulla bolletta della luce, come uno scemo. E affermare che la persona che amo è la mia persona, non una persona altra e qualunque: è su misura per me, per il mio cuore, la mia anima e il mio cervello. Per essere all'altezza sempre l'uno dell'altra ci siamo dovuti trasformare, io rincorro la sua bellezza, lei la mia, in una gara a frantumare record di splendore. L'amore non è stare fermi a godersi quel che arriva ma un lavoro. Come mettere l'asta del salto in alto ogni giorno un millimetro più su. Ogni tanto si sbaglia, ma quando si supera è festa. Del resto, amare è esercizio egoista. Si rincorre il proprio benessere, si intrecciano le dita tra le sue dita e in quel momento il mondo potrebbe anche scoppiare per quanta magnificenza c'è in quel gesto. Ma amare è pure essere migliori oggi rispetto a ieri. Andare a dormire e dormire poco ma contenti di quel che si è diventati, sorprendersi a stimarsi. Amare ci rende meno umani, per fortuna. Di una disumanità che è laica e pacifica, sacra, erotica e immortale. E che trova conferma - passando per le strade abbracciati come fossimo gemelli siamesi separati alla nascita e poi ritrovati - negli occhi invidiosi e ammirati di tutta la gente.
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