Ieri il nostro matrimonio sarebbe diventato diciottenne. Ci siamo sposati il 15 dicembre del '96, non avevo neanche trent'anni. Festeggiano le nozze d'argento e d'oro, i più fortunati. Non ho mai sentito parlare delle nozze maggiorenni: magari le avremmo inventate noi e celebrate sobriamente, come ogni altra ricorrenza. Tre mesi fa avrei detto che mi aspettava, vile come sempre, un altro anniversario di lutto, di stordimento. Invece ieri ho preso per mano la donna che amo, ho riso e parlato con lei, che è l'impalcatura su cui poggia tutto il resto della mia vita. Ti ho onorata, evocata, dicendole che ne sono innamorato, perché non c'è contraddizione tra il tuo tenero ricordo e questo miracoloso presente. Lei è la donna che qualunque uomo in cerca della fortuna vorrebbe avere accanto. Grazie al cielo di uomini orientati nell'unica direzione che vale qualunque prezzo ce ne sono sempre meno e allora per sorte, per tua mano - chissà - è arrivata fino a me. C'è una tenerezza vitale - che vorrei riuscire a raccontare in un prossimo romanzo - che lei mi suscita ininterrottamente, senza spegnersi mai, senza affievolirsi. E il benessere che provo a starle vicino, dai primi giorni è cresciuto fino a diventare adesso la mia spina dorsale.
Come stamattina, che il mondo sembrava meno feroce del solito. Ho fatto, con soddisfazione, le mie consuete due ore di radio; ho comprato la spesa necessaria per un paio di giorni, non di più, perché l'avvenire va camminato a tappe piccole anche nelle cose quotidiane; in macchina - mentre sul parabrezza cadeva una pioggia né pigra né scrosciante - ho messo De Gregori e ci ho cantato sopra. Se lo vedete, chiedetegli di perdonarmi. A casa ho acceso i termosifoni al minimo, per non gelare e non soffocare. E mi sono messo a scrivere questa cosa. Tra una riga e l'altra, per mettermi a fuoco distraendomi, ho controllato la posta, mandato un po' di inviti per Mirka a San Gemini, sabato prossimo. Parlerò ancora di questa ragazzina: inventata, sì, ma che è quasi una seconda figlia, ormai. Lei invece sarà tra il pubblico a fotografare. Per la terza volta si sorbirà la presentazione del mio romanzo: deve amarmi davvero forte.
E a parte questo, alla fine, mentre mettevo a bollire il brodo per i tortellini, ho pensato che tutta l'emozione e la gratitudine che provo in questa vita di cui oggi afferro finalmente il senso, a calcolarle insieme danno senza possibilità di errore il peso specifico della felicità.
Come stamattina, che il mondo sembrava meno feroce del solito. Ho fatto, con soddisfazione, le mie consuete due ore di radio; ho comprato la spesa necessaria per un paio di giorni, non di più, perché l'avvenire va camminato a tappe piccole anche nelle cose quotidiane; in macchina - mentre sul parabrezza cadeva una pioggia né pigra né scrosciante - ho messo De Gregori e ci ho cantato sopra. Se lo vedete, chiedetegli di perdonarmi. A casa ho acceso i termosifoni al minimo, per non gelare e non soffocare. E mi sono messo a scrivere questa cosa. Tra una riga e l'altra, per mettermi a fuoco distraendomi, ho controllato la posta, mandato un po' di inviti per Mirka a San Gemini, sabato prossimo. Parlerò ancora di questa ragazzina: inventata, sì, ma che è quasi una seconda figlia, ormai. Lei invece sarà tra il pubblico a fotografare. Per la terza volta si sorbirà la presentazione del mio romanzo: deve amarmi davvero forte.
E a parte questo, alla fine, mentre mettevo a bollire il brodo per i tortellini, ho pensato che tutta l'emozione e la gratitudine che provo in questa vita di cui oggi afferro finalmente il senso, a calcolarle insieme danno senza possibilità di errore il peso specifico della felicità.
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