Passa ai contenuti principali

Robin Williams, mio zio


Non sopporto i pagliacci negli ospedali. E non mi riferisco a certi medici - quelli chi li sopporta? -  ma proprio ai clown che vanno dai ragazzini ricoverati a gonfiare palloncini e fare giochi scemi. So che sono  volontari e li ammiro. Ma non li reggo. Non è colpa loro, sia chiaro. Caso mai mia. I clown mi danno una sinistra cupezza da che a sei anni li vedevo al circo. Per questo Patch Adams è l'unico film di Robin Williams che non mi è mai piaciuto. Ed è anche - più in generale - l'unica cosa che lui abbia fatto che se danno in tv non guardo mai. Perfino le sbronze e la cocaina a loro modo affascinano uno sobrio come me. Patch Adams no.
Insomma una mattina ti svegli e -  mentre il caffé sale, tua figlia è in montagna e cerchi un paio di calzini puliti -  ti cadono gli occhi sulla pagina Fb di un amico e su quella pagina c'è la faccia di Mork. Accanto c'è scritto che è morto. Credi - speri - di aver letto male, trovi gli occhiali, leggi ancora mentre il caffé fischia come una locomotiva. No, non hai letto male: è morto sul serio. Quel buffo alieno che sedeva sulla testa, comunicava telepaticamente con Orson, vestiva ipnotiche maglie a righe, che ti faceva compagnia a dodici anni prima che tua madre ti chiamasse per la cena,  non c'è più. Puf, sparito. Come quando finiva la puntata e cominciava il Tg. Ma stavolta domani sera non torna.
Allora bevi il tuo caffé ma oggi non sa di niente, ti vesti con la prima camicia che trovi - è sudata, non è il caso di cambiarla? no, fa lo stesso - esci e il cielo è sereno ma ugualmente dà sul grigio, suoni il clacson sbraitando a uno che si addormenta al semaforo, in radio dici quattro parole dentro al microfono, senza passione, futili. Robin Williams era uno di famiglia. Non lo conoscevo, ovviamente, ma lo consideravo più affine di certi parenti acquisiti - e spero morti, o malati, o disperati - che ho. È lui il responsabile - il colpevole - della mia vocazione da insegnante: 1989, avevo vent'anni. L'attimo fuggente fu un punto di non ritorno, entrai al cinema in un modo, ne uscii trasformato, graniticamente convinto che salire in piedi sopra le cattedre sarebbe stato il mio destino per tutta la vita.
Poi l'ho visto finire all'inferno a cercare la moglie suicida, scappare troglodita da bestiacce virtuali, sparare cazzate a raffica da una radio in Vietnam, travestirsi per amore da tata obesa, crescere e dimenticarsi di essere Peter Pan, ridursi vagabondo in cerca del Santo Graal. L'ho visto in mille altre pose e smorfie, e ho sentito pronunciargli battute che ho ripetuto e di cui abbiamo riso insieme, io e chi ho amato ed è poi dovuta partire. Lui era più forte dei film che girava, più geniale di chi l'ha diretto, più bello dei più belli e più bravo dei più bravi. Era un divo senza sembrarlo, senza stimmate, senza spocchia.. Era uno a cui pensi quando fai la lista di nozze - lo invitiamo o no? - e a cui vorresti telefonare a Natale. Uno di casa senza esserlo veramente. Perché se muore un parente bastardo magari vai al funerale per raccontare barzellette mentre lo inumano, e a sera festeggi con le due o tre amiche più disinvolte. Ma se muore uno come Robin ti viene voglia di tornare a letto a dormire senza sogni finché non sei abbastanza stanco da svegliarti e accorgerti che di quel che gira intorno al mondo, ormai, non te ne frega più quasi niente.





Qui Carlo Valli, la voce italiana di Robin
https://www.youtube.com/watch?v=S0YhlfB2VBs

Commenti

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia