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Lo scultore Voltero Bartolucci, Mauro Bortolotti e zio Gastone, 1957 |
Una baionetta della prima guerra mondiale: l'avevamo in casa, appesa al muro nel suo fodero. Quando hai una roba del genere non pensi che quella lama magari è finta nel ventre di qualche disgraziato.Ce l'hai lì e la mostri agli ospiti, ne racconti la storia, che l'ha portata dal fronte trentino un prozio, morto poi di polmonite. Marcò visita per via della febbre, un tenentino di prima nomina si convinse che faceva finta e lo mandò a spalare la neve. Morì in capo a tre giorni. Si chiamava Rosolino, aveva ventidue anni.
Beh, di quella baionetta ora c'è rimasto il fodero floscio, lei è mozza. Capitò che il Comune, o lo Stato - chi si ricorda, ero bambino - emanò una legge: non si potevano tenere in casa armi bianche. Erano gli anni del terrorismo, anche un punteruolo poteva dar la stura alla rivoluzione. Così Gastone prese una sega elettrica e la amputò all'elsa. C'è rimasto il moncherino. Mio padre quando lo seppe s'inalberò. Gli disse
Eccheccacchio! Allora stagliuzza anche i coltelli da bistecca, lui rispose
Ah Pié, vuoi finire in galera? e comunque ormai il danno era fatto.

Tutti coloro che hanno tenerezza per il passato della famiglia cui - per caso o disegno invisibile - appartengono, hanno in serbo cimeli che sono come cimici. Anziché i suoni, intercettano le epoche trascorse e se sai ascoltarli ti raccontano chiara e solenne la vita. Sono scaglie di memoria che sopravvivono, testimoni di stagioni trascinate il più delle volte dolorosamente, senza una precisa identità di futuro, arrampicate sulla groppa della storia come fantini su purosangue che stanno per disarcionarli. Oggi che ero in vena come sempre di nuotare controcorrente incontro a un passato in cui ancora non c'ero, ne ho scovati una scatola, di cimeli, nel secretaire di Clara. Nemmeno sapevo che erano lì, o magari - semplicemente - non lo ricordavo. Ho trovato cose meno polverose della Grande Guerra ma lo stesso sorprendenti. Foto, soprattutto, un mare. Di Gastone, ancora, della sua giovinezza, della sua amicizia con Mauro Bortolotti, delle loro scorribande tra concerti di Ciaikovskij, filmini artigianali, gare a braccio di ferro e bevute di vino. E poi scartoffie, come libretti di assegni e ricevute di affitto del 1948 per i locali della diocesi, dove mio nonno Francesco Franceschini teneva il suo mobilificio ai tempi in cui dovevi sperare, per invecchiare nodoso e antico, di sopravvivere alla cucina che ti montavano il giorno del matrimonio. Quasi mai ci si riusciva, non era roba svedese: un'altra camminata.
Succede che ogni volta che provo un'emozione mi va di scriverne. M'innamoro ancora, ma invece che delle persone degli oggetti, dei petali di papavero mummificati dentro
L'uomo senza qualità di Musil, edito da Einaudi nel '56. Stava dietro a una fila di romanzi di Liala, nella libreria più vecchia che abbiamo. Non so chi ebbe il coraggio di comprarlo, non so chi in famiglia l'abbia mai letto. Non importa, in fondo. Importa solo che sia lì. E che assieme a tutti gli altri oggetti sacri del passato mi ricordi da dove vengo e mi chiarisca - se posso sperarlo - dove e perché vado.
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