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Darei un anno di vita per...

Ho avuto la fortuna di vivere tante cose - non tutte belle, in verità, ma molte sì - e quindi ho una bisaccia di ricordi assai pesante. Ma è un fardello che si porta con piacere, se posso fermarmi in qualche piazza, aprirlo e mostrarne il contenuto, romanzandolo un po'. C'è che i ricordi vengono in mente quando vogliono loro, non esiste un tasto da schiacciare per selezionarli. Vengono e vanno con leggerezza, e lasciano spore di malinconia, così che quando gli amici ti chiedono cos'hai tu possa rispondere Niente, con l'espressione che tradisce il contrario. 
Le domeniche degli anni settanta erano un quadro di gente in posa, tutti a recitare la loro parte: eccolo il ricordo assassino di oggi. Appena primavera sgomitava tra le nubi, verniciando sulla striscia di Flaminia sotto casa  il suo chiarore, mio padre mi mandava a comprare il gelato da Persotti o le paste da Evangelisti. Guai a confondersi, ciascuno aveva un talento dolciario specifico e a suo modo unico. Le paste di Persotti somigliavano al cartone, il gelato di Evangelisti era annacquato, ma ciò che sapevano fare meglio, lo sapevano fare meglio di chiunque altro conoscessi.
Il pranzo era lento e gaio, non come quelli feriali, intristiti dalle lune di papà e acchittati in fretta. C'era anche l'antipasto, come al ristorante: il paté di fegato fatto in casa da mia madre sopra il pane bruscato. Gli adulti raccontavano i loro vecchi, il passato, la settimana alle spalle, l'incontro con un conoscente perso di vista da tanto tempo; c'era anche mio zio, prima che a cinquant'anni si sposasse e andasse a vivere con la moglie. Io un po' ascoltavo loro e un po' la radio: Alto Gradimento con Arbore e Boncompagni, aspettando l'urlo Patroclooooo! di Achille/Giorgio Bracardi. Non capivo tutte le battute ma intuivo che c'era intelligenza in quella che sembrava stupidità, e professionalità in quel che sembrava dilettantismo.
Alla fine, se avevo preso il gelato, mischiavo i gusti dentro lo stesso bicchiere: mi piaceva impoltigliarli; se c'erano le paste, col coltello le tagliavo a metà, per assaggiarle un po' tutte. Mio padre aveva sempre qualcosa da ridire.
Da anni mi chiedo che fine ha fatto quel tempo. Se era illusione e se le persone attorno a me erano davvero in posa; o se han fatto del loro meglio - ciascuna a suo modo - per preservarmi dal dolore che colpisce solo alcuni. Non date retta a chi dice che colpisce tutti allo stesso modo: è una fandonia. Io ne ho avuto una parte consistente, come il pezzo di cannolo alla crema più grande che rubavo dal cabaret, mentre papà fumava e faceva finta di non vedere. Oggi darei un anno di vita per vivere cinque di quelle domeniche. Ma pare non si possa fare, e allora basta malinconie. Mi spazzolo i ricordi dalla maglia, come facevo con le briciole di pane. E provo a vivere in diretta.




Una selezione delle geniali mascalzonate di Alto Gradimento:
https://www.youtube.com/watch?v=bmMoOJyl2YU

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