Passa ai contenuti principali

Che la festa cominci

A me Narni fa battere il cuore. E non è un modo di dire. Altrove sembra che si fermi, si congeli: direi che vivo senza vivere. Nella mia città tutto riparte, il sangue fa il suo giro, come il vento, i pensieri s'allargano sulle piazze e trovano dimora in angoli rassicuranti, le pene perdono peso, consistenza. Il tempo della festa a Narni è un tempo di ricordi ragionevolmente allegri: accettabile per uno come me che non è mai stato bambino nemmeno da bambino. Non che fossi più intelligente o sveglio dei miei amici. No. Solo più malinconico: forse un presagio di quel che sarebbe stato.
Mi piaceva restare in tabaccheria con mio padre, la sera del corteo storico, fin quasi a mezzanotte. Entrò Sergio Castellitto, una volta; un'altra Marcello Mastroianni. E poi facce diverse dal solito e parole toscane e venete, marchigiane e ciociare: turisti a prendere le Marlboro lights, cartoline, gomme da masticare, a chiedere dove mangiare, che le hostarie scoppiavano. La folla densa, stanca di una stanchezza soddisfatta, mi rendeva orgoglioso della mia città, della sua bellezza, che rimane nel cuore anche se non ci sei nato. Altri posti li ami solo perché ti ci han partorito; Narni ti innamora anche se vieni da un'altra meraviglia, non c'è posto più bello per vivere. Appoggiato al Pozzo della Comunità ti ho baciata e prima, forse nella stessa posa, avevo baciato un'altra di cui non ricordo il viso, solo il nome, ma non te ne feci parola. Le fiaccole profumavano l'aria di fuoco e resina e i cavalli scartavano e mia madre diceva Vieni dietro che il suono dei tamburi li innervosisce. Io volevo vedere il corteo davanti a tutti e non avevo paura degli zoccoli: ma erano imponenti quei purosangue, bardati con i lenzuoli delle casate e alla briglia ferrea dei capitani di ventura. Alla fine salivo in casa. Arrivavano parenti e le stanze si riempivano di voci familiari. Le finestre si spalancavano e entrava il clamore della notte medievale. Sul terrazzo, in venti a guardar la sfilata, ci si stringeva e qualche cugino grande portava ogni volta una compagna più bella, spesso poco vestita. Lo invidiavo da morire. Eccola! Spuntava dalla curva della Memoria la magnifica coda di gentiluomini, falconieri, musici, donne pittate, burocrati, giocolieri, sbandieratori, cortigiane, soldati in cotte di ferro. Lunghissima, abbracciava Narni come una cintura di storia. Mio padre riconosceva sotto gli abiti trecenteschi l'idraulico, il carrozziere, la moglie chiacchierata di qualcuno. Abitavo a Fraporta, ma al confine. Se allungavo il braccio fuori dal terrazzo dilagavo a Mezule e allora mi sentivo un po' guelfo e un po' ghibellino. Mi son vestito da cavaliere, una volta; un'altra da vescovo e una terza da morto di fame. Nel medioevo i morti di fame abbondavano: non come oggi ma quasi.
Il vino fatuo delle hostarie mi ubriacava al primo bicchiere, ma si sposava a meraviglia con la pizza dei forni, bui come i secoli ricostruiti in festa, bianca di sale grosso e verde di rosmarino.
La domenica si andava al campo di gara in un modo, si tornava in un altro. Magari scendevi preoccupato e tornavi festante; o andavi speranzoso e risalivi con le pive nel sacco. Ma si cantava anche nella sconfitta e poi - più grandicelli - si faceva l'amore: per festeggiare, o per consolarsi. Non lì in strada, voglio dire dopo, in casa. Io ero contento come sanno essere contenti  quelli che frequentano poco le piccolezze del mondo. Ero contento per Narni, perché era amata. E non conta che sia diventato grande. Quando - come oggi - divampa la festa, io ricomincio a viverla con gli occhi più innocenti che posso.




Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...