Chi lo sa se a un certo punto si può esser sazi di ricordi. Farne scorpacciata e provarne nausea, alla fine. Quello sarebbe il passaggio del testimone: smettere di vivere nel passato e prendere a farlo nel presente. E chi lo sa se c'è un quantitativo oltre il quale i ricordi vengono davvero a noia: una tonnellata di tonnellate, per dire. E chi lo sa infine se è un reato spacciare ricordi per iscritto come faccio io. Nemmeno posso difendermi con l'alibi dell'uso personale: queste pagine hanno già superato le quindicimila visualizzazioni. Non che mi dispiaccia, anzi; ma un po' mi spaventa. E responsabilizza: devo scrivere meglio e con meno fronzoli. E allora cominciamo.
I primi giorni di marzo mi mettono addosso una leggera smania, come un principio di sbornia. La primavera è in fondo alla strada e tu appena all'inizio, con gli improperi dell'inverno ancora tra capo e collo. Ma l'aria sta cambiando e le ultime gelate, i ruggiti del cielo, le nuvole di piombo, i fulmini sulla campagna, più che dimostrazioni di maestà somigliano alla crudeltà disperata di un tiranno moribondo. Da ragazzo già corteggiavo la malinconia: mi piaceva tornare da Terni che ancora era chiaro. Perché la sera arrivasse mentre ero già in viaggio, sull'autobus, e ne fossi protetto attraverso i vetri. Partivo che era giorno e arrivavo che era scuro: il caro crepuscolo di Narni, capace con le zampe nere di arrampicarsi sulla torre del Duomo fino a farla sparire. O la sera di Itieli, dove ho vissuto tempi di grazia che ti fanno credere in Dio, almeno per qualche ora. Mangiavamo all'aperto, in braccio a quel sentimento che non spiega la vita ma almeno la giustifica; il tavolo in discesa, i piatti a scivolare per il piano inclinato, le bottiglie a rovesciarsi e noi a tentare di tenere tutto e a ridere da matti. O infine la sera della festa, quando smontavo prima dal turno in tabaccheria e andavo per vicoli con gli amici a inseguire le ragazze sognate, che erano sempre di qualche altro; a guardare le facce incredule dei turisti innamorati della nostra città imbandierata, dei tamburi rullanti; a scoprire che se amano la tua donna sei pazzo di gelosia ma se amano la tua città ti inorgoglisci e fai di tutto per dirgli Io ne faccio parte.
Ho vissuto tante vite e un giorno ne scriverò sul serio, forse. Ma la vita strappata a morsi nelle sere beate, nei confini tra veglia e sonno, è vita assoluta e impressa a fuoco. Nell'anima, nello spirito o solo nella carne, non importa. Che sia solo chimica o no, ciò che conta è avere ricordi ben tagliati da spacciare ai romantici.
I primi giorni di marzo mi mettono addosso una leggera smania, come un principio di sbornia. La primavera è in fondo alla strada e tu appena all'inizio, con gli improperi dell'inverno ancora tra capo e collo. Ma l'aria sta cambiando e le ultime gelate, i ruggiti del cielo, le nuvole di piombo, i fulmini sulla campagna, più che dimostrazioni di maestà somigliano alla crudeltà disperata di un tiranno moribondo. Da ragazzo già corteggiavo la malinconia: mi piaceva tornare da Terni che ancora era chiaro. Perché la sera arrivasse mentre ero già in viaggio, sull'autobus, e ne fossi protetto attraverso i vetri. Partivo che era giorno e arrivavo che era scuro: il caro crepuscolo di Narni, capace con le zampe nere di arrampicarsi sulla torre del Duomo fino a farla sparire. O la sera di Itieli, dove ho vissuto tempi di grazia che ti fanno credere in Dio, almeno per qualche ora. Mangiavamo all'aperto, in braccio a quel sentimento che non spiega la vita ma almeno la giustifica; il tavolo in discesa, i piatti a scivolare per il piano inclinato, le bottiglie a rovesciarsi e noi a tentare di tenere tutto e a ridere da matti. O infine la sera della festa, quando smontavo prima dal turno in tabaccheria e andavo per vicoli con gli amici a inseguire le ragazze sognate, che erano sempre di qualche altro; a guardare le facce incredule dei turisti innamorati della nostra città imbandierata, dei tamburi rullanti; a scoprire che se amano la tua donna sei pazzo di gelosia ma se amano la tua città ti inorgoglisci e fai di tutto per dirgli Io ne faccio parte.
Ho vissuto tante vite e un giorno ne scriverò sul serio, forse. Ma la vita strappata a morsi nelle sere beate, nei confini tra veglia e sonno, è vita assoluta e impressa a fuoco. Nell'anima, nello spirito o solo nella carne, non importa. Che sia solo chimica o no, ciò che conta è avere ricordi ben tagliati da spacciare ai romantici.
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